Lou si fece la barba con una lametta usa e getta, si mise il cappello ed uscì.
Faceva freddo per essere una mattina di Maggio. S’infilò in auto, il cielo tuonò e i tergicristalli salutarono malinconici con un baffo di gomma al seguito.
Percorse la tangenziale a velocità elevata e giunse al bar della stazione in tempo per la colazione.
Tenne la porta aperta ad una bionda accompagnata ed entrò all’interno sbattendo le scarpe fradicie.
“Un caffè” ordinò sfogliando il quotidiano sportivo.
Un ragazzo seduto davanti alla slot machine, messa strategicamente nascosta accanto al bagno, attirò la sua attenzione.
Lou trascurò per qualche secondo il risultato della sua squadra del cuore.
Quante monete saranno finite là dentro?
Annuì alla cameriera con la scollatura generosa che gli aveva messo il caffè davanti e tornò a concentrarsi sul ragazzo. Quanti anni avrà avuto?
Diciannove o venti al massimo, si rispose.
Guardò l’orologio appeso sopra il bancone: le otto e un quarto.
Come cazzo ci si fa a ridurre così, pensò scuotendo il capo mentre le monete continuavano a piombare tra le fiamme dell’inferno con un suono ipnotico.
Willy fece due calcoli.
Siamo a trentaquattro, si disse sospirando.
La mano, stretta attorno a quella fottuta moneta, tremava sempre più. Le nocche erano bianche, come le sue notti.
Erano ormai sei mesi che dormiva in quella stanza all’ultimo piano. Ancora non riusciva a sopportare i suoi coinquilini. Le urla incomprensibili, le sedie che sbattevano contro il muro e le sirene della polizia, quattro piani più giù.
Poi la serratura della porta difettosa e la paura di chiudere gli occhi.
Le lenzuola sempre più gialle, i muri che ammuffivano sempre più, ad ogni pioggia.
Si voltò verso la porta a vetri del bar, oltre quel tizio al tavolino che lo fissava insistentemente, e vide le gocce coprire la strada.
Sospirò e schiacciò con un pugno il pulsante rosso.
Due ciliegie e una campanella.
Merda…
Un uomo di mezza età, intanto, era entrato nel bar e aveva ordinato un whisky.
Willy abbozzò un sorriso.
Un whisky alle otto e venti del mattino?
Bastardo alcolizzato.
Il signor M. sorseggiò il suo whisky con i gomiti appoggiati al bancone. Un briciolo di vita prese a bollire nel profondo delle sue viscere. Ordinò un altro bicchiere, ma che fosse bello pieno, non come il primo.
Chissà cosa sarebbe successo ora, pensò.
Duecento famiglie, mormorò mordendosi le labbra.
Duecento famiglie…
Avrebbe dovuto convocare nel suo ufficio ognuno di quei ragazzi.
Diego, che aveva appena avuto una bellissima bambina di nome Giulia.
Rudy, che ad ogni suo compleanno gli aveva portato un dolce fatto dalla moglie.
Emilia…
“Dal prossimo mese si chiude, ragazzi” recitò il signor M. sentendo il suo cuore infrangersi in mille pezzi “Mi dispiace davvero”.
Qualcuno da dietro lo spinse appena.
Il presidente si voltò appena. Una donna sulla trentina, trucco sbavato, minigonna e calze strappate si sedette ad un tavolo. Aveva un occhio livido e i capelli scompigliati.
“Inutile puttana” pensò lui facendo un cenno al barista.
Diana aprì la sua borsetta e vi rovistò sul fondo. Trovò un paio di monete e le posò sul tavolo.
Ecco cosa le aveva lasciato quel bastardo.
“Non me ne frega un cazzo se stai male” le aveva urlato in faccia “Questa è una miseria.”
“Mi dispiace” aveva provato a giustificarsi lei singhiozzando.
Lui non aveva sentito ragioni. Le aveva mollato un manrovescio che le aveva fatto perdere l’equilibrio sui tacchi facendola piombare sulla strada.
Un’auto blu aveva sterzato in tempo e una pioggia di fango l’aveva innaffiata.
“Ti conviene portarmene almeno il triplo entro giovedì” aveva ringhiato il suo aguzzino risalendo sulla sua Audi nera.
Diana si asciugò gli occhi bagnati e si augurò che quella piccola creatura innocente che portava in grembo stesse bene.
Un uomo, con un cappello in mano e la barba fresca di rasatura, le si sedette accanto.
“Posso offrirle un caffè?” le chiese sfiorandole una mano con fare paterno.
La donna riuscì persino a sorridere.
“Grazie” disse soltanto.
Lou alzò un dito per attirare l’attenzione del barista e si leccò le labbra.
Una scopata a buon mercato, pensò ordinando due caffè.
Intanto, fuori dal bar, la pioggia si trasformò in grandine.
La sirena di un’ambulanza si fece largo tra i clacson delle auto e un moccioso con uno zaino in spalla vide il suo autobus dall’altra parte della strada.
Le note di una vecchia canzone rock attraverso gli auricolari e un ultimo poderoso scatto.
Erano quasi le otto e mezza.
Suo padre non avrebbe accettato un altro richiamo per l’ennesimo ritardo a scuola.
Alex Rebatto
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