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Il baule dei Misteri – La morte di Luigi Tenco

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tencoc

 

27 Gennaio 1967, Sanremo.
La bionda trentaquattrenne Dalida (Iolanda Gigliotti, all’anagrafe) entra nella stanza nella stanza 219 dell’Hotel Savoy. Sono le 2 e 10 di mattina e sta tornando da una cena al noto ristorante Nostromo alla quale ha partecipato assieme al suo produttore Paolo Dossena, a Luigi Tenco e a un gruppo di amici.
Luigi, visibilmente affranto, aveva lasciato prima la compagnia adducendo a un mal di testa. L’eliminazione da parte della giuria del Festival del brano cantato in coppia con Dalida, Ciao Amore, ciao, lo aveva colpito nell’orgoglio.
La porta della stanza è socchiusa, la chiave nella toppa esterna.
Pochi minuti dopo il commissario Arrigo Molinari riceve una chiamata urgente e parte a sirene spiegate in direzione dell’Hotel Savoy.
Il cantautore Luigi Tenco, ventinove anni, viene trovato riverso al suolo con un foro di proiettile nella tempia destra e una pistola calibro 22 stretta nella mano. Dalida, seduta accanto al corpo, è in stato di shock.
Il dottor Borelli giunge sul posto alle 2.45 e non può fare altro che constatare il decesso dell’uomo.
“La morte è avvenuta al massimo venti minuti fa” sentenzia.
Quindi alle 2.25.
A quel punto ci si rende conto di un’altra presenza nella stanza. Un uomo, accovacciato in un angolo e con l’espressione sgomenta, fissa il vuoto senza riuscire ad aprire bocca. E’ seminudo ed indossa un pellicciotto.
Il suo nome è Lucio Dalla.
Un biglietto viene trovato sulla scrivania, a poca distanza dal cadavere:
“Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente 5 anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi».
Il corpo viene trasportato in obitorio e poi, su ordine dello stesso commissario Molinari, riportato nella stanza 219 del Savoy.
Perché?
Semplice. Una banale ma fondamentale dimenticanza: non sono state scattate le foto di rito.
Si prova a rimediare cercando di ricordare come fosse esattamente posizionato il corpo del cantautore. Le foto che entrano nella storia, purtroppo, non sarebbero secondo le testimonianze così veritiere.
Alle 5 e 20 Dalida viene interrogata e poi le viene concesso di rientrare in Francia dove vive.
Quella sera, inaspettatamente, il presentatore del Festival Mike Bongiorno esordisce sui teleschermi con queste parole:
“Questa seconda serata comincia con una nota di mestizia per il lutto che ha colpito il mondo della musica leggera, con la scomparsa di un suo valoroso esponente”. Lo spettacolo deve continuare.
L’inchiesta viene archiviata in una manciata di giorni sentenziando definitivamente il suicidio del cantautore. Non viene predisposta alcuna autopsia.
L’abuso di alcol e antidepressivi sembrerebbero, infine, l’unica plausibile ragione per spiegare la decisione di Tenco.
Caso chiuso.

Caso chiuso?
Un attimo. Succede dell’altro.
Un mese dopo il tragico evento, esattamente il 26 febbraio 1967, Dalida tenta a sua volta il suicidio in una stanza d’albergo a Parigi dove aveva soggiornato con Tenco. Una cameriera, intervenuta in tempo, le salva la vita.
Con il passare degli anni le voci che inneggiano alla riapertura dell’inchiesta vengono in parte accolte dalla magistratura. Il corpo del cantautore viene riesumato nel dicembre del 2005 e analizzato.
Il suicidio viene definitivamente confermato e il fascicolo chiuso una volta per tutte.
Nel Settembre del 2011, Lucio Dalla, è tornato sulla vicenda:
“Di Luigi ero molto amico e all’Hotel Savoy io alloggiavo proprio nella stanza accanto. Non mi accorsi di nulla. Quando mi avvicinai alla stanza vidi le gambe di Luigi steso a terra. Convinto di un malore mi misi a cercare un medico”.

Dalla morte di Luigi Tenco sono passati quasi cinquant’anni ma i sospetti, i dubbi e le testimonianze rendono ancora oggi il suo suicidio uno dei più grandi misteri italiani.
Non ci si può fermare, ha detto qualcuno.
Si deve alzare il sipario…

“La notte che presero le sue mani
e le usarono per un applauso più forte.
Chi ha ucciso il piccolo principe che non credeva nella morte?”
Francesco De Gregori

 

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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