Su Fronte del Blog il primo capitolo del romanzo di Karen Sander, che sarà in libreria dal 13 gennaio edito da Giunti, con la traduzione di Lucia Ferrantini.
Il 13 gennaio esce il secondo thriller di Karen Sander, dopo il grande successo di Muori con me.
LA TRAMA – Una macabra sorpresa attende Georg Stadler, commissario capo della Omicidi di Düsseldorf, quando come ogni giorno apre la posta sulla sua scrivania: da una strana busta imbottita, senza mittente, spunta un involucro di nylon che contiene un dito umano, mozzato di netto. Chi può essere l’autore di una simile barbarie? E cosa ne è stato della vittima? Mentre Stadler avvia la sua indagine privata, il resto della squadra è alle prese con un nuovo caso. Un giovane trovato morto, legato a un palo del telefono, con un biglietto conficcato in gola: «Chi non vuole capire deve subire». E, di nuovo, il rituale del dito amputato. A Stadler appare chiaro che non può trattarsi di una coincidenza. Un serial killer lo sta sfidando, e c’è solo una persona in grado di aiutarlo, una persona che come nessun’altra riesce a penetrare le menti criminali: Elisabeth Montario, la brillante psicologa che un anno prima aveva dato una svolta decisiva alle indagini sullo “Squartatore”. E il cui fascino inquieto aveva messo a dura prova l’etica professionale di Stadler. Liz non è certo il tipo da tirarsi indietro e mentre la sete di sangue dell’assassino cresce di ora in ora, lei e Stadler si ritroveranno fianco a fianco in una spietata caccia all’uomo…
L’AUTRICE- Karen Sander
vive in Renania. Traduttrice e docente universitaria, ha esordito con lo straordinario successo di Muori con me (Giunti 2015), primo romanzo della serie incentrata sulla coppia investigativa Stadler-Montario, entrato nella top-ten dei libri di narrativa straniera più venduti. Ascolta o muori, si è piazzato subito fra i bestseller dello Spiegel, vendendo 30.000 copie solo nelle prime due settimane.
LA CRITICA SU MUORI CON ME- «L’atmosfera inquietante, il tocco pessimistico sui destini umani, la corsa contro il tempo per bloccare il serial killer ricordano il film di David Fincher, Seven.» Antonio Steffenoni, Il Venerdì di Repubblica
IL LANCIO – Uno spietato killer che punisce i falliti: li cerca, li sceglie e li tortura perché così deve essere. Perché la storia si deve ripetere sempre. Soprattutto se nessuno ti ferma, anche quando potrebbe.
IN ESCLUSIVA, IL PRIMO CAPITOLO DI ASCOLTA O MUORI
Giovedì 7 agosto, ore 20.45
L’ abbaiare di un cane in lontananza arrivava ovattato, quasi irreale. Jonathan Geissler aprì gli occhi: assi di legno male assemblate con argilla e paglia. Cercò di girare la testa, ma si
bloccò, paralizzato da un dolore lancinante alla fronte.
Maledizione! Dove diavolo sono? Perché mi sta scoppiando la testa?
Chiuse gli occhi e aspettò che la fitta passasse. Provò di nuovo. Un movimento quasi impercettibile, ma il dolore, violento, tornò. Jonathan strinse i denti. Appena mosse il busto fu sopraffatto dalla sensazione di migliaia di chiodi piantati nella carne. Sospirò e si guardò incredulo: era nudo, sporco, la pelle piena di lividi e di piccole, strane abrasioni. I suoi occhi si posarono sulla mano sinistra… e d’un tratto tornò il ricordo.
No!
Il panico lo assalì. Scrutò intorno, agitato, cercando di ignorare quel corpo profanato che gli dispensava torture a ogni minimo movimento. Era ancora in quella capanna, disteso su delle tavole, una specie di branda improvvisata. Lungo la parete di destra ciocchi di legna, accuratamente accatastati, che emanavano odore di faggio appena tagliato. Di fronte, una cesta con pezzi più piccoli per accendere il fuoco. Poi un banco da lavoro, sopra il quale erano appesi vecchi attrezzi: tenaglie, un martello, cacciaviti e un rotolo di fil di ferro arrugginito. Sul piano, un mucchio di giornali ingialliti. Da una finestra con vetri a riquadri, accecati dalla polvere, filtrava una luce fioca. Il sole basso faceva splendere di un luccichio dorato la ragnatela tessuta sugli infissi.
In mezzo alla capanna c’era una trave che sosteneva il tetto fatiscente ed era coperta di schizzi bruno rossastri, come anche il ceppo in un angolo e la lama dell’accetta che vi era stata conficcata.
Le mani di Jonathan iniziarono a tremare, un brivido, gli occhi invasi dalle lacrime.
Dio, ti prego, tirami fuori di qui!
Si girò di lato, portò le ginocchia al petto e se le abbracciò.
Ogni movimento continuava a provocargli sofferenze atroci, ma in quella nuova posizione trovò un minimo di sollievo.
Cominciò a piangere, piano. Fuori il cane aveva smesso di abbaiare, c’era di nuovo silenzio… solo i suoi lamenti.
D’un tratto allungò le braccia e si guardò la mano destra con esitazione. Non era incatenato! Provò a muovere le gambe: anch’esse erano libere… Come aveva fatto a non rendersene conto? Cos’era successo? Il suo aguzzino aveva deciso di lasciarlo andare?
Il cuore di Jonathan accelerò i battiti. Si tirò su, noncurante del dolore, e cercò di mettersi in piedi. Dopo diversi tentativi ci riuscì, ma gli girava la testa e dovette appoggiarsi alla panca.
Vide le macchie di sangue, il suo, e gli venne da vomitare. Si costrinse a restare in piedi e respirare con calma.
Non appena la stanza intorno a lui smise di ondeggiare, azzardò un passo verso la porta, poi un altro. Piano piano sentì tornare le forze e la fiducia. Abbassò la maniglia, e incredibilmente la porta si aprì.
Jonathan uscì, cercando di fare meno rumore possibile. Il cortile sembrava deserto. Il sole lambiva già le cime degli alberi all’orizzonte.
Che giorno era? Quanto tempo era rimasto chiuso lì dentro?
Nei suoi ricordi, il periodo di prigionia non era diviso in giorno e notte, ma in tortura e sollievo. Non era in grado di dire se quell’inferno fosse durato settimane, o una manciata di ore.
Jonathan cercò di concentrarsi sul presente. Sotto i piedi sentì un terreno argilloso, ma asciutto. Non doveva aver piovuto per diverso tempo, e la terra era assetata. L’aria era afosa, neanche un alito di vento, e il silenzio era assoluto: nessun fruscio tra i cespugli, nessun cinguettio di uccelli, nessun motore in lontananza. Guardò verso destra. Oltre il cancello del cortile iniziava una strada di campagna, una striscia carrabile tra l’erba riarsa dalla calura. Jonathan fece qualche passo, con la massima cautela.
Un rumore alle sue spalle lo fece impietrire. Si mise in ascolto.
Niente.
Uno scherzo della sua immaginazione, forse. Doveva restare lucido, senza perdere la calma, mancavano solo pochi passi…
Poi, all’improvviso, udì il suono di una campanella, rintocchi limpidi e assordanti che squarciarono il silenzio surreale.
Cos’era stato? Il campanello di una porta? Un cellulare?
Jonathan guardò in basso e vide un filo di nylon, teso a pochi centimetri dal terreno. Il suo cuore si fermò.
«Davvero credevi che ti avrei lasciato andare?»
Il ragazzo iniziò a tremare.
No, per favore… no!
Un fruscio alle sue spalle. Passi che si avvicinavano rapidamente.
Il cancello ancora lontano.
«Scordatelo» disse l’aguzzino. «Sai benissimo cosa succede quando non obbedisci.»