“Due persone in una stanza: una è una donna, l’altra Arturo Bandini, che non è né carne, né pesce, né niente.”
Chiedi alla polvere
1978, Los Angeles.
“Abbiamo visite” annuncia l’infermiera civettuola sistemandosi la camicetta sbottonata.
“Non voglio vedere nessuno” sbotta il paziente mandandola al diavolo con un gesto del braccio.
La donna si lancia verso la finestra della camera e la spalanca.
“Glielo dica lei” conclude la cinquantenne con il rossetto sbavato ondeggiando i larghi fianchi verso l’uscita.
Un tizio entra nella stanza. Indossa una camicia hawaiana stropicciata ed un paio di pantaloni logori. E’ piuttosto alto, avrà una sessantina d’anni e la pancia prominente tipica del bevitore incallito.
“E’ un onore incontrarti, John” esordisce tirando fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei pantaloni
“Non si può fumare qui” prova a replicare John guardando dubbioso il nuovo arrivato.
“Da quando seguiamo le regole, amico?” sorride l’altro facendo fuoco.
1932, Wilmington
Il giovane ventitreenne John, umili origini italiane e grandi aspirazioni, decide d’investire i suoi pochi soldi e si presenta all’università di Long Beach. Si iscrive ad un corso di scrittura e dimostra una buona attitudine. Alcuni suoi racconti vengono pubblicati su riviste di serie A. Troppo poco per tirare a campare, però.
Trova lavoro come lavapiatti, poi come fattorino d’albergo, persino come operaio in una fabbrica dove inscatolano pesce.
La famiglia decide di cambiare aria. John segue i genitori fino a Roseville, una tranquilla cittadina californiana.
S’innamora di una giovane di buona famiglia e scrive un romanzo intitolato “La strada per Los Angeles”. Agli editori non interessa. Lo stile del ragazzo pare sgraziato, confuso.
John ci riprova. Scrive “Aspetta primavera, Bandini” e spedisce il manoscritto a tutte le case editrici del paese
Finalmente, nel ’38, qualcuno si fa vivo.
Il romanzo viene pubblicato e ottiene un discreto successo.
L’anno dopo, con “Chiedi alla polvere”, John Fante ottiene la fama meritata.
Dopo la guerra le cose cambiano. Il vento tira dal lato sbagliato. John arriva ad Hollywood e si mette a scrivere sceneggiature per film minori. Nel 1960 Dino De Laurentis lo vuole a Roma per lavorare a Il Re di Poggioreale.
Fante ci riprova coi romanzi ma il successo degli anni trenta sembra lontano, ormai.
Alla fine degli anni settanta Fante, ormai cieco e disabile a causa del diabete, ottiene il sostegno di una delle leggende della letteratura americana che arriva a definirlo “il mio Dio”.
1979, Los Angeles.
Il direttore della casa editrice guarda l’uomo in piedi davanti alla sua scrivania con malcelata perplessità. L’ha visto fin troppe volte ubriaco e in preda a mille deliri, ma stavolta sembra essere serio.
Dannatamente serio, si ripete asciugandosi il sudore sulla fronte con un fazzoletto di seta ricamato.
“Avanti” prova a nicchiare “John Fante, cazzo! Vuoi farmi perdere denaro, Hank?”
L’altro si dirige verso il mobile bar, si versa senza chiedere il permesso un bicchiere di scotch e solleva le spalle.
“Mettiamola così” ringhia Charles, o Hank per gli amici “Se non ripubblichi le opere di Fante puoi scordarti il mio inedito. Che ne dici?”
L’editore si allarga il colletto della camicia.
Quello è un ricatto bello e buono.
Charles s’infila una sigaretta tra le labbra e si rovista nelle tasche in cerca dell’accendino.
“Non si potrebbe fumare qua dentro” mormora l’editore tirando fuori una stilografica dal cassetto.
“Da quando seguiamo le regole?” sorride Bukowski versandosi di nuovo da bere.
John Fante muore l’8 maggio del 1983, pochi mesi dopo la ristampa di “Chiedi alla polvere” e “Aspetta primavera, Bandini”.
La sua leggenda, così come “E il cagnolino rise”, mitico racconto del suo alter ego Arturo Bandini, vive ancora oggi. Da tanti incompresa, ma non da tutti.
Alex Rebatto
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