Per decenni l’ipotesi di un microchip installato nel corpo di un essere umano è stato argomento di fantascienza. Molto spesso anche di leggende metropolitane, che vedevano i detenuti di diverse parti del mondo usati come cavie per esperimenti scientifici. E certo, l’idea di una connessione tra uomo e computer affascina quando la si sogna utilissima per guarire definitivamente da malattie incurabili, come nell’immaginifico film “Trascendence” con Johnny Depp, o come nel decisamente più realistico e concreto progetto “Neuralink” di Elon Musk, che punta a salvare le vite di pazienti con un microchip impiantato nel cervello. Lascia però senza parole l’esito del “Rapporto Coop 2024 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” secondo il quale il 37% degli italiani sarebbe disposto a «farsi impiantare un microchip per eseguire piccole azioni quotidiane come pagare digitalmente».
Ma perché? Non basta che gli smartphone si siano trasformati nella scatola nera della nostra vita, tracciandoci i movimenti, le spese, i gusti, le abitudini, le passoni, i vizi e i segreti? Non bastano agli italiani tutte le forme di controllo cui sono quotidianamente sottoposti, schedati dall’Agenzia delle Entrate, dai colossi del web, dallo Spid e da ogni altra fesseria che introducono nei telefoni? Non è servita la lezione del green pass, con coprifuoco e normative da caserma militare? Evidentemente no.
Anzi, evidentemente piace. Non si spiegherebbero altrimenti gli altri risultati del “Rapporto Coop”, come quello che vorrebbe il 55% dei connazionali favorevole alla reintroduzione della leva militare obbligatoria, con tanti saluti a decenni di battaglie sull’obiezione di coscienza, dell’individuo libero in libero Stato, della persona che si ribella all’idea che lo Stato sia proprietario della sua persona e del suo tempo. Addirittura il 65% riterrebbe necessario intervenire in un conflitto nel caso in cui la Nato lo richiedesse, accettando anche (per il 15%) l’invio di truppe di terra.
Solitamente la smania bellica e l’esigenza di un controllo sociale sulle proprie vite da parte della popolazione a discapito della libertà personale fa parte di Paesi arretrati, dove ignoranza e povertà viaggiano di pari passo, come sperimentammo già cent’anni fa. Sulla povertà, la fotografia che ci restituisce il “Rapporto Coop” è perfettamente in linea con tali parametri: il 55% degli italiani fa una vita ben diversa da quella attesa, spesso peggiore (44%). La parola chiave per l’approccio ai consumi è il risparmio, per il 75%.
E nei settori di scienza e cultura i redditi sono calati: nella sanità dell’8,5% e nell’istruzione dell’11,2%. Eppure le principali preoccupazioni risultano essere non già la perdita costante di spazi di libertà, anche economica (grazie a leggi e normative da terzo mondo) ma il cambiamento climatico e la cura del proprio corpo. Cura del corpo, beninteso, non come sua salute, ma come immagine: le vendite di prodotti cosmetici sono aumentate infatti in cinque anni del 29%. E ci sarebbero addirittura 8,6 milioni di italiani così idioti da assumere, o da essere interessati ad assumere, i famosi farmaci per il diabete al solo scopo di dimagrire.
Sicchè, anche ad ignoranza, siamo messi benissimo: d’altra parte una conferma era già giunta ad agosto da Eurostat, secondo il quale l’Italia si stagliava in terz’ultima posizione per numero di lettori sui 27 membri dell’Unione Europea. Da noi, in sostanza, si legge soltanto più che in Romania e a Cipro. Sarà per questo che ci lasciamo alimentare da paure insensate e siamo disposti a perdere i nostri diritti a patto di “apparire” belli e in forma. Per un futuro che peggio di così non potevamo che immaginare: un italiano su tre, sostiene il “Rapporto Coop” ha dichiarato di «poter in futuro persino sviluppare un legame affettivo con un umanoide digitale o un sistema operativo». La tecnologia, che doveva migliorarci la vita, ha finito per scipparcela.