Alessandra Carati ha incontrato per anni la donna delle pulizie condannata all’ergastolo per la strage di Erba e per la quale è in corso il processo di revisione a BresciaNel libro “Rosy” Alessandra Carati ne ripercorre la vita, dall’adolescenza fino alla simbiosi con il marito Olindo Romano. E rivela che…
La chiama la «la dittatura della fragilità». E dice: «Ecco il suo potere su di me, il groviglio. Mi fa mancare l’aria eppure non riesco a sottrarmi. La rabbia è tutta mia, l’impotenza». È questa la sensazione di Alessandra Carati, già finalista al premio Strega, di fronte a Rosa Bazzi, o Rosa Rosina Rosy, così come lei si presenta quando la incontra la prima volta, «una bambina di cinquantacinque anni». Una bambina dalla quale infine, per proteggerla, tutti hanno finito per dipendere: Olindo Romano prima, poi gli avvocati, infine la scrittrice che si trova davanti una donna completamente indifesa. E che per difendersi, inventa in continuazione, rendendo impossibile all’interlocutore il discernimento tra la realtà e la fantasia. Una sorta di shock per chi la incrocia se si pensa alla condanna all’ergastolo che si porta dietro: quello, condiviso con il marito, per la strage di Erba dell’11 dicembre 2006. E per la quale è in corso in questi giorni a Brescia il processo di revisione.
LA VERA ROSA BAZZI
Alessandra l’ha incontrata molte volte in questi anni per scrivere Rosy (Mondadori), un libro che è un po’ il romanzo della sua vita, in cui compaiono solo due nomi: il suo e quello di Olindo, sorta di metafora del mondo isolato che la coppia si è costruita, lontano da tutti e da tutto. C’è la Rosy bambina, che ha finito solo le elementari, ma che non sa leggere. E che pure, quando incontra i suoi avvocati, dice che ha letto quasi tutti i libri del carcere o che scrive a pc. C’è la Rosy ripudiata dai genitori all’indomani della confessione della strage, ma coi quali aveva già rotto i rapporti anni prima. C’è ancora la Rosy degli anni nella corte di Erba: «In paese dicevano che era una pettegola, una linguacciuta, una che non stava mai zitta; se all’epoca fosse esistito l’insegnante di sostegno, di sicuro a lei l’avrebbero dato».
E c’è infine la Rosy in cella, che tenta di impiccarsi dopo la sentenza di Cassazione e che si infila le unghie nel collo, piangendo appunto come una bambina quando le autorità tergiversano per concederle un lavoro fuori dalla prigione. O che parla di notte con una persona immaginaria, che lei chiama «l’altra Rosa». Nelle prigioni di Vercelli in cella con una donna al 41bis o a Bollate, dove trova per la prima volta un bagno tutto per sè: «Quando ha visto i sanitari si è inginocchiata e li ha accarezzati, anche se erano sporchi». Rosy che infine confida alla psicologa che, se uscisse «vorrei essere messa in un istituto di suore e vorrei trascorrere lì il resto della mia vita. In un istituto che abbia le sbarre alle finestre così nessuno potrà mai entrare e farmi del male.»
È la Rosy che prova oggi a muoversi con le sue gambe come non ha mai fatto prima e che per un anno era rimasta arrabbiata con Olindo, disertando i loro incontri, convinta che l’inferno in cui sono finiti fosse solo colpa sua.
LA STRAGE DI ERBA E LE CONFESSIONI
Nel volume molto si indugia in effetti nel labirinto delle confessioni dei coniugi, dove nulla torna mai. E nella decisione suicida di Rosy di raccontare il falso: «La ragione sta nelle parole dei magistrati – scrive Carati – : se non confessi, tuo marito non lo vedi più. Il momento in cui si è sentita persa è quando ha ceduto alle loro parole». Che le cose non siano andate come poi stabiliranno i processi se ne accorge prima la psicologa, poi il cappellano del carcere, cui Olindo dice di non aver commesso la strage. Il prete è turbato: glielo ha rivelato nella confessione.
Decide infine di parlarne in Procura, senza esito. Infine contatta il vecchio leone del Foro di Como, il defunto Enzo Pacia, il quale manderà avanti i giovani Fabio Schembri e Luisa Bordeaux per poi seguirli nella difesa al processo di Como, dove, si scopre, i legali non furono soltanto oggetto di linciaggio mediatico.
IL GIALLO
Rivela infatti Carati che, ai danni degli avvocati «le azioni vandaliche seguono a breve: l’auto imbrattata di vernice, le gomme tagliate, il motore fuso due volte nel giro di una stagione; e non le succede a Como, intorno al tribunale, dove possono aggirarsi degli spostati, vanno a cercarla a Lecco, dove vive e ha lo studio… Al suo collega forzano lo studio tre volte in sei mesi, senza rubare niente; trova la porta socchiusa e le cose così come le ha lasciate. Infine l’isolamento».
E ancora ciò che succede quando un giornalista, il pomeriggio prima che iniziasse il processo di Como, andò da uno dei difensori della coppia dicendogli che stavano per battere un’agenzia in cui si annunciava che i legali di Olindo e Rosa sarebbero stati indagati per patrocinio infedele. Scrive Carati: «L’obiettivo è inquinare la difesa, minarne la credibilità così da toglierle il coraggio di alzarsi in piedi e dibattere. Spaventare». Ma poi, il giornalista aggiunse: «All’ultimo ci hanno ripensato». E la scrittrice verga le parole con cui il difensore lo congedò: «Dica a chi l’ha mandata che, scendesse Gesù Cristo dalla croce, noi domani siamo in aula». Ora, a Brescia, si giocano l’ultima carta per dimostrare l’innocenza di Olindo e Rosa.
Qui sotto i link alle bufale sulla strage di Erba:
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IL LIBRO OLINDO E ROSA:
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PER APPROFONDIRE
- Il libro IL GRANDE ABBAGLIO – CONTROINCHIESTA SULLA STRAGE DI ERBA, di Felice Manti e Edoardo Montolli – GUARDA
- Il podcast di Fronte del Blog, con documenti e audio esclusivi – YOUTUBE | AUDIBLE | SPOTIFY | APPLE PODCASTS
- Lo speciale di Fronte del Blog sulla strage di Erba – GUARDA
- Lo speciale de Le Iene sulla strage di Erba – GUARDA
- Lo speciale del settimanale Oggi sulla strage di Erba – GUARDA