Quando avevo quattordici anni, ricordo, abitava nel palazzo davanti al mio una ragazza sulla ventina. Attorno alla mezzanotte, puntuale come un orologio, si piazzava davanti alla finestra e si cambiava per andare a dormire.
Lo scoprii e, anch’io puntuale come un orologio, a mezzanotte mi chiudevo nel cesso, abbassavo le tapparelle e spiavo tra le fessure tenendomi l’uccello in mano.
Una volta io mio vecchio si svegliò, intravide la luce sotto la porta, aprì e mi trovò nel pieno del mio bianchiccio entusiasmo adolescenziale.
“Che fai?”, mi domandò.
“Avevo sentito un rumore”, risposi rinfoderando l’artiglieria.
Lui fece finta di bersela e tolse il disturbo. O più probabilmente temeva di far attendere troppo la bambola gonfiabile che lo aspettava sul divano.
Sono passati trent’anni da allora e, mi accorgo, i guardoni sono aumentati a dismisura.
Il problema è che all’epoca, parliamo dei primi anni novanta, le distrazioni non erano poi così tante. Quando arrivava il Postalmarket (200 grammi nella casella della posta, seicento accanto al water) era una festa. Si finiva inevitabilmente sulle ultime pagine dove le modelle in biancheria intima trasparente ci aprivano nuovi orizzonti urticanti.
Si usciva dopo cena per raggiungere la cabina telefonica sotto casa per poter sentire la voce dell’amata lontana. O per fare qualche scherzo al Signor Ciolla.
Poi sono arrivati i cellulari, internet e i social.
Così il voyeurismo ha assunto nuove dinamiche.
Si spia alla luce del sole, senza pudore. Non serve più aspettare la mezzanotte e la ventenne in reggiseno per sognare.
Ora la ventenne ti dà un appuntamento e si aspetta che tu sia lì, con la faccia illuminata ed il solito uccello in mano. Una torbida tresca pur sempre umidiccia.
Ma i reggiseni e le calze a rete ad un certo punto sono diventati fin troppo consueti. Hanno perso la magia del vedo/non vedo delle ultime pagine di Postalmarket.
Così ci siamo tuffati sulle vite altrui. Una nuova esperienza in tre dimensioni che trovava il modo per catturarci, per coinvolgerci.
Il Grande Fratello, la cronaca nera. Il dolore quando Taricone si è schiantato. Quasi fosse un amico perduto per sempre.
Infine il boom della Ferragni e, a ruota, del consorte.
Ci siamo emozionati quando il rapper le ha chiesto la mano durante il suo concerto, alla nascita del primo figlio, poi della seconda. Ci siamo abituati alla loro vita quasi fosse la nostra.
Era così bello sognare con loro nell’attico a Citylife. Guardare il piccolo Leone crescere, le sue prime parole, i suoi primi passi.
Volergli bene come ad un piccolo innocente Truman.
“Scappa, Truman. Scappa!”
E siamo ancora qua, trenta fottuti anni dopo, a chiederci se le due ricchissime star dell’effimero stiano bluffando o siano sinceramente alla fine di un sogno condiviso.
Condiviso con noi, s’intende.
Io personalmente, mio malgrado incastrato in quell’irrinunciabile desiderio di vivere le vite altrui, mi dolgo di non riuscire più ad emozionarmi per quel mondo artefatto di pixel e celluloide.
Ogni tanto mi chiedo che fine abbiano fatto le ragazze sulle ultime pagine di Postalmarket. Se si sono sposate, se hanno avuto figli. Se indossano ancora intimi trasparenti da due soldi o sono passate a Victoria’ Secret e a quell’anonima rivoluzionaria banalità.
Ogni tanto vorrei potermi permettere un attico a Citylife per affacciarmi dal balcone e sputare sulla testa di tutti gli inquilini. Così, un po’ per invidia ed un po’ per sport.
E ogni tanto spengo i social e mi leggo un libro. Così, per sopravvivere.
Alex Rebatto