Dopo averci portato gli insetti a tavola, l’Ue ci toglierà il pesce. La Commissione europea, in nome della consueta, delirante, Agenda Verde, intende infatti eliminare la pesca con le reti entro il 2030. Ovvero la cosiddetta pesca a strascico, praticata solo dal 18% della flotta di pescherecci italiani, ma che costituisce il 65% del pescato totale. Il motivo? Conservare l’ambiente e non rimettere in circolo la Co2 imprigionata sui fondali.
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Nel Belpaese l’intero comparto è a rischio. E presto finiremo con l’importare milioni di tonnellate di pesce dall’Asia e dal Sud America – dove ovviamente l’uso delle reti continuerà – e con il devastare un altro settore nevralgico della nostra economia. Il che è addirittura grottesco per una nazione per tre quarti circondata dal mare. I politici promettono battaglia, ma finirà con ogni probabilità come con gli insetti e con l’addio ai motori a benzina e diesel, altro colpo mortale inflitto all’industria automobilisitca nostrana e al suo indotto.
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Certi che l’Italia sia ormai solo in cerca degli ingenti prestiti trappola del Pnrr, in Ue ci trattano infatti come zerbini. Stephane Séjourné, presidente di Renaissance, il partito di Emmanuel Macron, si permette così anche di dire: «Giorgia Meloni fa molta demagogia dinnanzi all’immigrazione clandestina: la sua politica è ingiusta, inumana e inefficace». E lo dice il rappresentante di un Paese, la Francia, che i clandestini ce li rispedisce al confine, poi blindato di gendarmi. Soprattutto ci rimprovera il rappresentante di un Paese, la Francia, che ancora depreda 14 ex colonie africane, esigendo il monopolio di oro, uranio, petrolio, gas, cacao, caffè, imponendo il franco coloniale e pretendendo il 50% delle riserve monetarie.
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L’elenco delle vittime lo stilò Italia Oggi nel 2018: Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo. Anzichè vergognarsi e far finire questa porcheria, i governanti francesi giocano alla pagliacciata del politicamente corretto, fingendosi progressisti nello “riscrivere” i romanzi di Agatha Christie e togliendo i temini “potenzialmente offensivi”. Come se il problema fosse il lessico di quasi un secolo fa e non le politiche neocoloniali dell’Eliseo di oggi.
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Muti ad ogni insulto e proni ad ogni diktat di Bruxelles, gli italiani intanto continuano ad affondare. E in attesa che anche le coste finiscano in mani straniere, uno studio a firma di Nicola Bianchi (Northwestern Kellogg School of Management) e Matteo Paradisi (Einaudi Institute for Economics and Finance) mette in luce come dal 1985 al 2019 il gap salariale tra i giovani assunti e gli over 50 sia raddoppiato. In soldoni: i trentenni degli anni Ottanta guadagnavano circa il 20% in meno dei loro colleghi più anziani. Nel 2019 guadagnavano il 40% in meno.
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Ci permettiamo di aggiungere che gli stipendi in Italia, unico caso continentale, sono fermi al 1990. E questo rende forse meglio l’idea della miseria cui vanno incontro le nuove generazioni. Non è un caso che la gran parte dei lavoratori specializzati cerchi rifugio all’estero. Il quotidiano Repubblica riporta la storia di Alessandro Deni, microbiologo di 35 anni, che ha scelto di trasferirsi in Irlanda, dove gli prospettano uno stipendio quadruplo rispetto a quanto prende qui: «Mi offrono 220 mila euro lordi. Mi hanno cercato loro e io sono solo l’ultimo di tanti miei compagni di corso che fa questa scelta. Qui, dopo mille concorsi, hai solo contrattini di ricerca».
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D’altra parte l’Irlanda, Stato dell’Ue (ma non succube dell’Ue), è anche la sede dei più grandi colossi tech del mondo: da Amazon a Google, da Facebook a Paypal. Merito di una tassazione al 12,5% sulle società. Noi siamo ancora fermi alle polemiche sul taglio del cuneo fiscale (a tempo) per una manciata di euro, mentre il potere di acquisto si è quasi azzerato. Così, medici, ingegneri e informatici fuggono. E fanno bene. Scappate anche voi, finchè siete in tempo.