Continua su Fronte del Blog la controinchiesta di Rino Casazza sul delitto di Avetrana, cui il giallista ha dedicato vari video, interviste e un libro. Oggi ci soffermiamo su quanto emerge dal cellulare di Sarah Scazzi: dettagli che inducono a riflettere…
IL DELITTO DI AVETRANA: Perchè Sabrina Misseri e Cosima Serrano sono innocenti
Nel recente libro IL DELITTO DI AVETRANA – Perché Sabrina Misseri e Cosima Serrano sono innocenti” (GUARDA) ho affrontato gli aspetti decisivi dell’inchiesta.
Vorrei soffermarmi, in questo post, su uno dei più controversi. Riguarda il cellulare della giovanissima vittima, Sarah Scazzi.
Il libro IL DELITTO DI AVETRANA su DAGOSPIA
La lettera di Valentina Misseri, nel libro IL DELITTO DI AVETRANA, pubblicata da IL GIORNALE
LA SPARIZIONE
Come tutti gli adolescenti squattrinati, Sarah Scazzi esauriva subito il credito telefonico del suo cellulare faticando poi a ricaricarlo.
Come mostrano i tabulati telefonici, nel primo pomeriggio del 26 agosto 2010, giorno della sua scomparsa, la ragazzina si trovava in questa situazione, cosicché che non aveva possibilità di effettuare chiamate né di inviare sms.
Poteva solo riceverne.
Sarah era in attesa di un sms da parte della cugina, Sabrina Misseri, a conferma che sarebbero partite in macchina per una gita al mare insieme ad altre due amiche.
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Il sms arriva alle 14.25.
Per far sapere che l’ha ricevuto e si affretterà a raggiungere il luogo dell’appuntamento, casa della cugina, distante circa cinque minuti di strada a piedi da casa sua, Sarah ricorre ad uno stratagemma, ben conosciuto da tutti i ragazzi in bolletta col traffico telefonico: manda uno squillo, gratuito, sull’utenza cellulare della cugina.
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Per la verità, non lo fa subito, tanto che, prima di ricevere lo squillo di risposta, Sabrina deve inviare un altro messaggio a distanza di tre minuti. Sarah risponde con lo squillo solo a quest’ultimo.
I familiari di Sarah confermano di aver saputo dalla ragazzina che era in attesa di un via libera per la gita, attraverso sms, da parte della cugina. Confermano inoltre che Sara si è accomiatata da loro dopo aver detto di aver ricevuto il messaggio di Sabrina.
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Da quando Sarah esce di casa, del telefonino, come della sua proprietaria, si perde ogni traccia.
L’apparecchio risulta aver ricevuto, senza risposta, alcune chiamate dalla cugina preoccupata perché Sarah non si era presentata a casa sua, dove l’attendeva assieme alle amiche per partire verso il mare.
Poi il cellulare tace per sempre.
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LA RICOMPARSA
Il 29 settembre 2010, quando è trascorso più di un mese dalla scomparsa di Sarah, il suo cellulare viene ritrovato.
Michele Misseri, padre della cugina della ragazzina, mentre si trova in campagna nota tra gli alberi di ulivo un oggetto bruciacchiato. Si avvicina e si accorge che si tratta di un telefonino abbandonato. L’uomo chiama i carabinieri che accorrono per prelevare l’oggetto, che si rivela essere proprio l’apparecchio di Sarah, privo della sim e della batteria.
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Michele Misseri dichiara agli inquirenti e ai media di aver avuto subito il presentimento che quel cellulare sperduto fosse della nipote. Il giorno precedente al ritrovamento, sentito dai carabinieri, era andato addirittura oltre, affermando di “sentirsi dentro” che la soluzione del mistero della scomparsa di Sarah sarebbe passata attraverso lui.
Il 6 ottobre Misseri, il cui ruolo nell’inaspettato recupero del cellulare è apparso fin da subito sospetto agli investigatori, messo alle strette confessa di essere l’assassino di Sarah, facendone recuperare il cadavere dentro un pozzo artesiano ben celato in un terreno di sua proprietà.
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Non ci interessano a questo punto gli ondeggiamenti di Michele Misseri nel riferire l’accaduto, che lo vedono ritrattare la propria esclusiva responsabilità nell’omicidio per scaricarla sulla figlia Sabrina attribuendosi un intervento solo per nascondere il cadavere, salvo poi, successivamente, riconfermare la confessione di aver commesso il delitto e occultato il cadavere da solo.
Vogliamo puntare l’attenzione sull’atteggiamento di Misseri nei confronti del telefonino nelle due ipotesi possibili:
– quella accolta nella sentenza definitiva, che ha risolto il caso considerando l’uomo responsabile solo dell’ occultamento del cadavere e attribuendo l’omicidio alla figlia Sabrina in concorso con la madre e moglie di Misseri, Cosima Serrano;
– quella alternativa, scartata dai giudici, che l’uomo sia l’unico assassino della nipote.
Se Misseri non ha ucciso Sarah, ma si è limitato aiutare le vere assassine, moglie e figlia, a nascondere le tracce dell’omicidio, per quale motivo il telefonino della vittima è rimasto in suo possesso, tanto che poi ha voluto farlo ritrovare fingendo che ciò era avvenuto per caso?
Logica vorrebbe che l’uomo avesse fatto sparire il cellulare gettandolo nel pozzo insieme al corpo di Sarah. Se veramente il suo scopo era proteggere le due donne da una condanna per omicidio, il suo comportamento risulta incomprensibile: riportare alla luce il cellulare non poteva che ottenere l’effetto opposto, ovvero dare pericolosamente spago alle indagini invece che sopirle.
Far ritrovare il telefonino ha più l’aria di un’atto non pienamente razionale, dettato dall’ingravescente rimorso per la gravità inaudita e l’inescusabilità dell’azione commessa, l’omicidio di Sarah, non certo la protezione delle colpevoli.
Aver incongruamente trattenuto il cellulare invece di disfarsene, dimostra che il senso di colpa covava fin dall’inizio. Quell’oggetto aveva per lui l’inconscio valore simbolico di un legame con la vittima della sua violenza che lo avrebbe perseguitato per sempre.
L’USO “DIABOLICO” DEL CELLULARE DA PARTE DI SABRINA MISSERI
Su questo argomento, riporto il passaggio del mio libro:
Fase n° 6 dell’azione criminale:
Sabrina, per procurare a sé e alla madre un alibi posticipando il momento del delitto, simula di mandare a Sarah per sms l’avviso di raggiungere la propria casa e quindi, avendo disponibilità del cellulare della cugina, manda uno squillo a se stessa.
Cosa dice il giudicato
Poiché Sarah era morta nell’orario in cui dal suo cellulare è partito uno squillo in risposta all’sms di Sabrina di raggiungerla a casa sua, è giocoforza attribuire alla seconda di aver fatto tutto da sola.
Cosa sostiene la difesa
Nulla può dimostrare che Sabrina sia ricorsa al trucco del falso squillo. L’analisi delle celle telefoniche di aggancio dei cellulari delle cugine non chiarisce se quando sono partiti il messaggio e lo squillo i due apparecchi si trovavano distanti o in stretta prossimità.
La supposta sottile dissimulazione di Sabrina è semplicemente l’unico modo per mettere d’accordo la testimonianza di Buccolieri, che anticipa l’orario della morte di Sarah, con i tabulati telefonici, che la collocano in un momento successivo.
Considerazioni
L’alibi costruito da Sabrina attraverso il finto scambio di messaggi tra lei e Sarah non è una mossa scaltra, ma un escamotage maldestro, destinato a crollare nel giro di pochi giorni. Se è rimasto in piedi, lo si deve a tre fortunose e insperate coincidenze:
– Pur essendo Sarah uscita di casa prima delle 14, i testimoni nell’immediatezza dei fatti contribuiscono a posticipare l’evento della mezz’ora indispensabile affinché lo squillo di risposta di Sarah al messaggio di Sabrina non risultasse impossibile;
– Sarah esce di casa fingendo di aver già ricevuto l’sms di avviso ad andare a casa Misseri che Sabrina le avrebbe inviato solo mezz’ora dopo;
– Giovanni Buccolieri tiene nascosto di aver colto Sabrina e Cosima raggiungere in auto Sarah per le strade di Avetrana prima delle 14.
Ricordiamo che, nel racconto del fioraio, Cosima si accorge – e verosimilmente anche Sabrina – che lui ha visto e può quindi raccontare la scena del sequestro, per cui le donne erano pienamente consapevoli che l’alibi costruito sul finto scambio di messaggi non poteva funzionare.
La debolezza – e conseguente improbabilità – dell’espediente ne mette a nudo il carattere di forzatura a posteriori per superare l’altrimenti insanabile incoerenza tra la successione degli eventi come registrata dai tabulati telefonici e come ricostruita nella soluzione giudiziaria.”
Michele Misseri, la disperata lettera nel libro IL DELITTO DI AVETRANA: “Sono io il vero colpevole” – da OGGI
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