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La strana storia dei 21 grammi e del peso dell’anima

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Fu il medico Duncan MacDougall a pubblicare uno studio nel 1907 sui 21 grammi che una persona perde al momento della morte. Ipotizzò che si trattasse del peso dell’animaLa scrittrice Paola Mizar Paini racconta per Fronte del Blog i misteri di questa storia, che hanno ispirato il film 21 grammi

 

21 grammi
Duncan MacDougall

 

Quanto pesa la nostra essenza? Coscienza, pensiero psiche, spirito? La scintilla vitale, che dopo l’ultimo respiro ci trasforma in gusci vuoti, ha veramente una consistenza materiale? Chi ha visto il film 21 grammi, il peso dell’anima sa di cosa parlo.

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Il titolo deriva da uno studio del 1907 del dottor Duncan MacDougall. Secondo le sue ricerche, mettendo a confronto il peso di una persona poco prima di morire e dopo il decesso, l’ultimo respiro si porterebbe via circa 21 grammi.

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Chi era Duncan MacDougall

Duncan MacDougall nacque 1866 e lavorò come medico ad Haverhill in Massachusetts. A un certo punto della sua carriera professionale la sua mente andò oltre organi interni, muscoli e ossa, vagando in territori fino ad allora inesplorati. Iniziò a chiedersi cosa fa di noi ciò che siamo, e pensò che questa sostanza che ci rende unici dovesse occupare uno spazio dentro al nostro corpo. Doveva esserci la possibilità di catturarla in qualche modo, anche solo per un secondo, così da provare la sua esistenza una volta per tutte.

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L’idea cominciò a ossessionarlo al punto da intraprendere un esperimento. Decise di pesare sei persone in punto di morte e ripesarle poco dopo. Notò una differenza che sembrava uguale per tutti gli individui, 21 grammi circa.

Il peso dell’anima che abbandonava il corpo.

La scoperta dei 21 grammi

Dopo questa entusiasmante scoperta, MacDougall pubblicò un lungo articolo nel New York Times e sulla rivista American Medicine.

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21 grammi
L’articolo del  New York Times

“È impensabile che la personalità, la coscienza e l’identità personale continuino a esistere e a perdurare senza occupare uno spazio – scrisse, e per lui questo quid che occupa  spazio è una sostanza che permetterebbe poi alla nostra coscienza di esistere anche nell’aldilà. A suo giudizio senza concretarsi in una sostanza la coscienza non sarebbe concepibile. Essa sarebbe collegata al nostro corpo dalla nascita fino alla morte. – Mi sembra più ragionevole pensare che si debba trattare di una qualche materia gravitazionale e quindi in grado di essere rilevata pesando un essere umano in punto di morte.”

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Le sue parole rivelano la mente brillante di un medico che non si limita a fare il suo lavoro giorno per giorno, ma allarga i propri orizzonti, lasciando la medicina da parte e guardando all’essere umano nella sua interezza. Egli tiene a chiarire che i soggetti partecipanti al test hanno dato il loro consenso prima di lasciare questo mondo e che l’ esperimento non ha causato loro ulteriore sofferenza.

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MacDougall scelse persone morenti per malattie che le avevano condotte a un estremo esaurimento fisico, in modo che non potessero compiere movimenti muscolari improvvisi al momento del trapasso.

Il primo paziente fu un uomo in fin di vita per la tubercolosi. Il letto su cui giaceva era posato su un telaio leggero, costruito su una bilancia a piattaforma opportunamente calibrata.

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Tenuto in osservazione per tre ore e quaranta minuti, fece registrare un calo di pochi grammi all’ora, dovuto all’evaporazione del sudore, finché spirò. In quel momento ebbe un calo subitaneo e deciso “come se un peso fosse stato levato dal letto”: i famosi 21 grammi.

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L’esperimento

Nel suo articolo MacDougall spiega che la causa non poteva ricondursi ad una ulteriore evaporazione di sudore, poiché questa era già avvenuta in modo graduale. Il calo rilevato immediatamente dopo il decesso era troppo consistente e troppo rapido per essere qualcosa di fisico. Non poteva trattarsi di svuotamento della vescica o dell’intestino perché questo contenuto sarebbe rimasto sul letto, mantenendo il peso stabile.

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Gli venne obiettato che potesse trattarsi di un residuo d’aria contenuto nei polmoni, espulso di colpo con l’ultimo respiro, e MacDougall non perse tempo. Sottopose se stesso e il suo assistente a  un nuovo esperimento,  stendendosi prima l’uno e poi l’altro su un letto munito anch’esso di bilancia a piattaforma e ispirando ed espirando più volte. Nessuno dei due, pur avendo riempito e svuotato i polmoni al massimo delle loro capacità, fece registrare una variazione nella bilancia.

McDougall sottopose all’esperimento un secondo moribondo, con stesso risultato: 21 grammi scapparono via di colpo. Così fu per il terzo, il quarto e il quinto. Riguardo al quarto McDougall fu onesto ammettendo qualche difficoltà nel regolare le bilance e soprattutto qualche interferenza da parte di persone, probabilmente membri del personale ospedaliero, in disaccordo sull’esperimento in corso.

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Per quanto riguarda il sesto paziente, ancora una volta McDougall  riconobbe che, essendo deceduto in pochi minuti, non c’era stato il tempo per regolare le bilance.

Il ricercatore non si fermò qui: per verificare la sua teoria, ripeté l’esperimento con 15 cani moribondi, malati o molto anziani, senza registrare la perdita dei  21 grammi, come per gli esseri umani, anche se sottolineò che  la prova poteva essere stata viziata dall’uso di alcune sostanze inoculate agli animali per permettere loro una morte serena e impedire movimenti improvvisi che avrebbero falsato le bilance. McDougall scrive “Il risultato netto condotto sugli esseri umani è che alla morte si verifica una perdita di sostanza non giustificata altrimenti. È la sostanza dell’anima? A me sembra di sì.” Molto pragmatico continua: “Sono consapevole che dovrebbe essere condotto un grande numero di esperimenti prima che la questione possa essere provata senza possibilità di errore, ma se un’ulteriore sperimentazione confermerà che c’è una perdita di sostanza nel momento della morte, non causata da reazioni già conosciute, l’accertamento di una tale verità non potrà che essere della massima importanza.”

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MacDougall andò a toccare un tema spinoso, quello della religione, asserendo: “…si proverebbe che la concezione spiritualistica dell’immaterialità dell’anima è sbagliata”. Macdougall si era convinto che quella perdita di peso fosse dovuta qualcosa di materiale che lascia il corpo, qualcosa che contiene la nostra  personalità. Se così era, significava  che continuiamo a esistere dopo la morte, che nell’aldilà c’è vita.

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Le critiche

I giornali, saputo di questi esperimenti, si produssero in titoloni altisonanti come: “L’ANIMA HA UN PESO. QUESTO  IL PENSIERO DI UN MEDICO.”

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La comunità scientifica per contro insorse contro la teoria dello studioso. Al tempo i suoi colleghi si limitarono a definire i suoi esperimenti assurdi, e a stroncare la sua ipotesi a suon di spiegazioni scientifiche incontrovertibili.

Oggi, chiunque essi interessi alla teoria dei 21 grammi, si trova davanti a due opposte correnti di pensiero. I critici affermano che questo supposto “peso dell’anima” si baserebbe su esperimenti condotti in modo approssimativo. Non sarebbe bastato un sistema di bilance, ma ci sarebbe voluto un sistema di misurazione molto più complesso, isolato da tutto ciò che potrebbe disturbare la pesatura. Solo in un ambiente sigillato si potrebbe controllare attentamente anche la così chiamata “traspirazione insensibile”. ovvero la perdita impercettibile di minuscole quantità d’acqua dalla pelle, dalle mucose e dalle vie respiratorie. Inoltre, al tempo di MacDougall non c’era modo di sapere “esattamente” quando una persona era in effetti deceduta. Ci si basava sull’essenza di battito cardiaco ma, come sappiamo, oggi l’attività cerebrale continua per qualche tempo dopo il decesso.

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Se l’esperimento con i cani non diede lo stesso risultato, spiegano ancora i critici, è perché gli esseri umani sudano e il sudore evapora, ecco spiegato il calo di peso; i cani invece non hanno ghiandole sudoripare, disperdono il calore respirando velocemente a bocca aperta. Niente sudore niente evaporazione, e di conseguenza niente variazione di peso.

I sostenitori di MacDougall, invece, fanno  leva sul fatto che questi che fosse un eccellente ricercatore, scrupoloso al limite del maniacale. Pertanto è molto difficile respingere scientificamente il dato da lui registrato di quei 21 grammi fuggiti via dai corpi senza vita.

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A Mac Dougall viene inoltre riconosciuto un lodevole desiderio di espandere il proprio sapere, mettendo in discussione sia il proprio credo religioso sia le basi della sua professione. Non è da tutti uscire dal proprio recinto mentale. Ci vuole curiosità, coraggio e tenacia a portare avanti esperimenti di fronte a i quali i colleghi scuotono la testa.

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Gli Egizi

Chissà se MacDougall si ispirò agli Antichi Egizi, che avevano anticipato il suo pensiero. Non si può non menzionare la psicostasia, una cerimonia dell’antica religione egizia a cui, secondo il “Libro dei morti”, veniva sottoposto il defunto prima di accedere all’aldilà.  Chiamata anche “pesatura del cuore” o “pesatura dell’anima” consisteva, come si vede nella rappresentazione del “papiro di Ani”, nel mettere il cuore del trapassato su uno dei piatti di una bilancia, mentre sull’altro veniva posta una simbolica piuma rappresentante la verità e la giustizia.

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Se il cuore, inteso come concentrato di tutte le azioni, buone o cattive, compiute dal defunto, non disturbava l’equilibrio della bilancia, significava che il defunto era degno di accedere al regno dei morti. MacDougall morì a 54 anni.

Ha pesato l’anima umana citava il suo breve necrologio. Data la passione che aveva messo nella sua singolare e interessante ricerca scientifica, è facile pensare che leggesse con soddisfazione quelle righe dall’Aldilà.

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È passato alla storia per aver portato alla ribalta il concetto di anima come entità concreta, pesabile. Ha fatto riflettere la società del tempo, suggerendo di trattare con garbo quell’anima e di farne buon uso, senza logorarla con la malvagità, ma nutrendola con la gentilezza, in modo che al momento del distacco dal corpo possa lasciarla con la leggerezza di una piuma.

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21 grammi è il suo peso, ci ricordano gli egizi di un lontano passato, ma quanto pesa dentro di noi, a volte, quella piuma.

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Paola Mizar Paini

 

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Paola Mizar Paini

La biografia di una persona, proprio per sua natura può essere meno fedele alla realtà e presentarsi dunque più o meno romanzata e, perciò sono in dubbio se raccontare di una vita ricca e avventurosa o limitarmi a raccontare qualche dettaglio insignificante, come ad esempio il fatto che a Marcignago, il 28 novembre, (l’anno nemmeno sotto tortura) quando nacqui, non emisi nemmeno un vagito… forse per non disturbare visto che la mia mamma fece molta fatica a partorirmi. Respiravo così piano, ma così piano che la levatrice (a quei tempi si partoriva in casa) pensò fossi morta. Ma morta morta! Così mi misero in un angolo del letto, avvolta in un lenzuolino e per un po' si dimenticarono di me. Come si accorsero dell’errore? Ebbene, ci sarebbe un proseguo, ma quella è un’altra storia. Mi definisco una vecchia ragazza perché non ho mai smesso di scoprire cose nuove, soprattutto su me stessa. Sono mamma di tre figli: due maschi e una femmina e ho tre nipoti. Vivo ad Alagna, in provincia di Pavia e lavoro come assistente al traffico per Milanoserravalle. E questo è tutto quello che riguarda la mia interessantissima vita privata. Sono da sempre lettrice per bisogno, e scrittrice…per caso grazie all’incontro fortuito con Carlo Frilli, il mio editore, che non smetterò mai di ringraziare per aver creduto in me come autrice. Con la casa Editrice F.lli Frilli Editori ho pubblicato nel 2017 il noir: Angeli Innocenti. Nel 2018 il noir: La Casa delle ombre, premiato con la “menzione speciale” al premio nazionale “La Provincia in Giallo”. Nel 2018 un’antologia di racconti dal titolo: Dieci storie a mezzanotte. Nel 2020 ho scritto a quattro mani, con l’autore Pieremilio Castoldi, il thriller: Emily.Cronache dal passato, e molti dei miei racconti sono stati inseriti in varie antologie. Mi appassiona tutto ciò che è misterioso, adottando nuovi punti di vista su fatti che accadono intorno a noi a cui non riusciamo a trovare una spiegazione. Tengo a precisare che sono concreta e obbiettiva, ma una cosa non esclude l’altra. Amo molto visitare luoghi abbandonati, i cosidetti “paesi fantasma” e adoro le leggende perché contengono spesso l’origine di una vicenda, o più spesso la separazione tra fantasia, un rifugio indispensabile e perfetto per sopravvivere, e realtà, minacciosa e intrusiva. Miti, leggende, fiabe. Come poter sopravvivere senza esse?

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