Sul caso di Simonetta Cesaroni, il celebre criminologo Carmelo Lavorino ha presentato un esposto in Procura indicando alcuni elementi che potrebbero far luce sul delitto di via PomaLavorino non concorda con le risultanze e i sospetti emersi nella relazione finale della Commissione Antimafia della legislatura appena conclusa. E ritiene di aver trovato un testimone chiave sconosciuto alle indagini
ROMA- La domanda è aperta da più di 22 anni: chi ha ucciso Simonetta Cesaroni in via Poma il 7 agosto 1990? Carmelo Lavorino , investigatore esperto in analisi delle scene del delitto e profilazione criminale, si è occupato del cold case notissimo all’opinione pubblica, sin da quando se ne diffuse la notizia, nell’agosto del 1990.
IL DELITTO DI AVETRANA – Perché Sabrina Misseri e Cosima Serrano sono innocenti” – GUARDA
Ha poi avuto modo di approfondirne i complicati e contraddittori elementi emersi, facendo parte del collegio difensivo che ottenne il proscioglimento di uno degli indagati, Federico Valle. Sono numerosi i suoi interventi in merito sulla stampa, a cui si aggiungono diversi saggi investigativi, l’ultimo dei quali è “Via Poma, inganno strutturale tre”.
In relazione alla novità delle indagini svolte sul caso di via Poma dalla Commissione Parlamentare Antimafia, lo abbiamo interpellato per fare il punto della situazione sull’inchiesta, tuttora irrisolta.
Simonetta Cesaroni, l’intervista di Carmelo Lavorino a Fronte del Blog:
Cosa ne pensa delle risultanze contenute nella relazione finale della Commissione Antimafia della legislatura appena conclusa, a cui si è dato risalto sulla stampa?
Le ho esaminate attentamente, e penso che, da un lato, non portino elementi nuovi rispetto a quanto si sa, e peraltro è già contenuto negli atti investigativi e processuali; dall’altro non diano risalto agli unici elementi certi che possono condurre all’identificazione dell’assassino, da me da tempo messi in luce.
Cioè?
Prendiamo i dubbi sull’alibi di uno dei protagonisti della vicenda, Caracciolo di Sarno, presidente dell’AIAG, presso i cui uffici venne ritrovato il cadavere della povera Simonetta Cesaroni. In realtà costui, da poco scomparso, non può essere colpevole perché il suo gruppo sanguigno è incompatibile con quello dell’assassino. Dopo lunga diatriba con gli inquirenti, infatti, sono riuscito a far mettere un punto fermo sulla corretta classificazione medico-scientifica delle tracce di sangue lasciate sul luogo del delitto dall’omicida, di gruppo A “DQAlfa 4/4”.
Che ne pensa del fatto che l’assassino, come suggerisce la Commissione, debba essere qualcuno che, per potersi ripulire dalle vistose tracce del delitto, doveva avere un punto d’appoggio nel comprensorio di via Poma?
Circostanza acclarata anche questa. Tuttavia per l’ampiezza di quel distretto abitativo i soggetti con tale caratteristica erano parecchi, tra cui anche Federico Valle, indagato innocente che ho contribuito a scagionare dimostrandolo sprovvisto di un’altra fondamentale qualità dell’assassino che insisto, purtroppo inascoltato, nel sottolineare.
Cioè?
L’analisi della posizione del cadavere, e delle numerose ferite infertegli, sia a mano nuda che con un’arma da taglio, indicano oltre ogni ragionevole dubbio che l’assassino colpì Simonetta Cesaroni con la mano sinistra. Il colpevole, insomma, è mancino.
Non potrebbe essere un destrimane che nell’occasione ha usato la sinistra?
Quando si agisce sotto un incontrollabile impulso omicida, come è avvenuto per questo assassino che, lo ricordiamo, ha continuato a pugnalare compulsivamente la vittima esanime, è istintivo adoperare la mano che si è naturalmente abituati a usare. Comunque è certo che tutte le ferite sono state inferte con la mano sinistra, a iniziare dal violento schiaffo alla tempia destra di Simonetta.
Riassumo i requisiti dell’omicida: territoriale conoscitore del complesso residenziale di via Poma, protetto dal pulitore, mancino, di gruppo sanguigno “A DQAlfa 4/4”. Su queste basi ho qualche mese fa presentato un esposto alla Procura di Roma, indicando alcune attività istruttorie molto importanti, tra cui l’audizione di un soggetto finora sconosciuto, di cui sono riuscito a scoprire l’identità, che all’orario del delitto, come riferisce un testimone, provò a raggiungere gli uffici dell’AIAG, verosimilmente suonando il campanello. Preciso che questo individuo non è l’assassino.
Agli inizi degli anni 2000 vennero estratti dal corpetto di Simonetta Cesaroni alcuni profili di “DNA da contatto”, di origine indeterminabile (sudore, saliva, cellule epiteliali o altro). Uno apparteneva sicuramente al fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, poi processato e assolto. Risulta che questi profili siano stati confrontati con l’impronta genetica di una trentina di sospetti, senza trovare corrispondenze.
Mi risulta che queste tracce genetiche, per la loro stessa natura infinitesimale e per il lungo tempo trascorso, fossero degradate e incomplete e quindi inadatte ad una comparazione scientificamente attendibile.
Un’ultima domanda. Nel titolo dell’ultimo libro sul caso di via Poma fa riferimento a un “inganno strutturale”. A cosa si riferisce?
A due aspetti essenziali, motivo delle difficoltà trentennali a risolvere l’inchiesta. È certo il passaggio sulla scena del delitto di un soggetto diverso dall’assassino – io lo chiamo “pulitore” – per detergere il sangue e cancellare le impronte digitali del colpevole. Poi, è trasparente l’intervento di una “manina manigolda”, ovvero l’azione di esperti in manipolazione e depistaggio non tanto a favore dell’assassino, quanto per evitare che, indagando più approfonditamente sulla rete degli “ostelli della gioventù”, emergessero infiltrazioni dei servizi segreti per controllarne il grande andirivieni di ospiti da tutte le parti del mondo. Sono i momenti frenetici after crime in cui ognuno salva il proprio orticello.
Rino Casazza per Cronaca Vera
Il grande abbaglio, controinchiesta sulla strage di Erba (versione aggiornata) – GUARDA