Jaime Moises Rodriguez Diaz, messicano, 42 anni, già manager della Nestlè, strangolò la moglie ad Arese. Ma giura: “Non l’ho uccisa io, la sua morte è avvenuta per via di un processo patologico interiore conseguenza del fatto che mia moglie praticava l’autoipnosi”L’uomo cercò di uccidere anche il figlio. Surreale le parole che usa per difendersi al processo, dove il pm chiede l’ergasolo. E lui assicura: “Volevo solo abbracciarla”Tutta la vicenda nell’approfondimento di Cronaca Vera
ARESE- Ci sono tanti modi per protestarsi innocenti e per sminuire le proprie responsabilità anche di fronte all’evidenza e alle testimonianze di chi c’era ed è scampato alla morte solo per un caso.
Ma davvero una scusa come quella usata da Jaime Moises Rodriguez Diaz, messicano, 42 anni, già manager della Nestlè, in decenni di professione non l’avevamo mai sentita. Sì, ci sono quelli che accusano le voci nella testa, gli alieni, i fantasmi. Ma la giustificazione del dirigente che il 19 giugno 2021 strangolò nella sua casa di Arese la moglie e tentò di ammazzare il figlio 18enne, è davvero stupefacente: «Non l’ho uccisa io, la sua morte è avvenuta per via di un processo patologico interiore conseguenza del fatto che mia moglie praticava l’autoipnosi e studiava la disciplina del magnetismo quantico. Era al secondo livello di studio e questo le ha impedito, per mancanza di esperienza, di controllare le conseguenze estreme della scelta di autoipnotizzarsi».
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Le sue parole sono state lette in udienza al processo nel quale il pm Giovanni Tarzia ha chiesto l’ergastolo. E, a dirla tutta, non abbiamo capito una sola parola. Ma pensiamo di non essere i soli.
IL DELITTO DI ARESE
Il manager uccise la moglie Silvia Susana Villegas Guzman, 48 anni, nel letto del loro appartamento ubicato nel prestigioso residence Gran Paradiso. Raccontarono i vicini che la coppia litigava spesso perché lui era geloso e temeva che lei avesse un altro.
Jaime provò poi invano ad eliminare anche il figlio, che ricostruì i fatti: dopo le sette si era trovato il padre accanto che chiedeva di parlargli. Ma lui era ancora nel dormiveglia e non voleva. Jaime sarebbe allora tornato nella sua camera da letto per rientrare da lui con una cintura di nylon tentando di strangolarlo: «Ho ucciso tua madre e ora tocca a te».
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Una scena da film horror cui il giovane riuscì a sottrarsi prima di svenire. Jaime, a quel punto, comunicò anche agli altri due figli di 15 e 13 anni di aver ammazzato la mamma, si chiuse in bagno e si inflisse alcune ferite agli avambracci e due ferite da punta da taglio sotto il costato destro.
Niente di grave, in realtà. La famiglia era in Italia per lavoro da un solo mese. Ricordarono proprio i figli come il padre fosse un uomo violento per la gelosia che lo attanagliava da tempo, e di come cercassero spesso di fermarlo.
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Anche la sera prima del delitto era scoppiata una lite, quando lui si era imposto con la moglie: «Fammi leggere i messaggi sul telefono». Scrisse il gip Angela Minerva, che convalidò l’arresto, che «non v’è dubbio che l’uomo abbia compiuto un’azione di soffocamento della moglie».
VOLEVO SOLO ABBRACCIARLA
Al processo in Corte d’Assise il pm Tarzia ha descritto minuziosamente ciò che per l’accusa Jaime avrebbe fatto dopo averla uccisa: «Ha dato due giri alla cintura e poi ha stretto attorno al collo del figlio subito dopo aver soffocato la moglie».
E il figlio si è difeso «con le unghie e con i morsi e il padre non è riuscito ad ucciderlo solo per l’intervento salvifico dell’altro fratello, intervenuto mentre lui quasi non respirava più». Il manager «ha aggredito le fondamenta della sua famiglia e nutriva rancore anche verso il figlio». E Jaime, che non ha mai confessato il delitto, deve rispondere di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e del tentato omicidio del primogenito, atti per i quali la Procura chiede l’ergastolo.
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Ma in aula, la surreale ricostruzione dei fatti del manager, riportata da Il Giorno, prosegue così: “Quando sono rientrato a casa la sera del 19 giugno ho visto mia moglie preoccupata, allora l’ho abbracciata, è stato un abbraccio liberatorio, perché so che aveva dei pensieri, per via della vita di nostro figlio. Proprio mentre l’abbracciavo ho sentito che lei perdeva i sensi e cadeva battendo la testa sul termosifone. Ha perso sangue per la botta e anche perché a quel punto ha avuto un collasso del sistema cardiocircolatorio e gli alveoli dei polmoni le si sono riempiti di sangue. Poi l’ipnosi che non ha saputo gestire e infine la morte”.
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Insomma, tutta colpa dell’ipnosi e del magnetismo quantico, teoria del tutto inedita in un processo per omicidio. I suoi legali hanno anche chiesto ai giudici di disporre di una perizia medico legale per capire se la donna fosse morta per patologie pregresse. La richiesta è stata respinta.