Luciano Cigolini sostenne di essere scampato al mostro di Firenze un mese prima del delitto degli Scopeti del 1985 e di essersi salvato solo perché con la fidanzata era uscito dall’auto parcheggiata. Ma lo vide arrivare e scagliarsi sulla vettura. Raccontò tutto ai carabinieri fornendo anche un identikit, ma nessuno approfondì.Per la prima volta, 37 anni più tardi, Luciano Cigolini parla pubblicamente di quell’episodio: “Quell’uomo sbavava e aveva un coltello con una lama nera.”Cronaca Vera lo ha incontrato. Ecco la prima parte della clamorosa intervista realizzata da Stefano Mauri
CREMONA- Il nipote di Mario Vanni, il postino condannato per alcuni dei delitti del mostro di Firenze, chiederà la revisione del processo. Da tempo sono emerse le perizie che acclarano come il proiettile trovato nell’orto di Pietro Pacciani sia un falso costruito in laboratorio. Da tempo i parenti delle vittime chiedono una vera giustizia. Ma a chiedere la revisione può essere soltanto uno dei parenti dei condannati, tutti ormai morti.
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L’INCHIESTA SUL MOSTRO DI FIRENZE
L’inchiesta, lunga, difficile, varia (con molte piste e tanti sospettati indagati) avviata dalla Procura di Firenze ha infatti portato alla condanna in via definitiva nel 2000 (i cosiddetti “Compagni di Merende”) di due uomini identificati come autori materiali di quattro duplici omicidi: Mario Vanni e Giancarlo Lotti (reo confesso), mentre il terzo, Pietro Pacciani, condannato in primo grado a più ergastoli per i duplici omicidi commessi dal 1974 al 1985 e successivamente assolto in appello, morì prima di essere sottoposto a un nuovo processo di appello che avrebbe dovuto celebrarsi dopo l’annullamento delle precedenti sentenze.
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Ma questa conclusione non ha mai convinto del tutto giornalisti, addetti ai lavori, legali e “mostrologi” (attivissimi sul web), persone convinte che il vero maniaco sia da cercare altrove. Recentemente (e non sono gli unici), gli avvocati Valter Biscotti e Antonio Mazzeo, insieme al consulente tecnico e documentarista Paolo Cochi, per conto del nipote del Vanni, con un comunicato hanno dichiarato che chiederanno la revisione alle sentenze di condanna dei cosiddetti “Compagni di Merende”. Ma chi era allora il mostro?
IL SUPERSTITE
Luciano Cigolini, originario di Remedello di Sotto in provincia di Brescia, nell’estate del 1985 si trovò nel corso di un viaggio di piacere vicino a Scopeti, in quella Toscana violentata, tormentata, spaventata, insanguinata dalla gesta folli e sanguinarie del Mostro di Firenze. L’uomo sostiene di essere sopravvissuto all’attacco di quello che potrebbe essere stato il vero serial killer che paralizzò l’Italia centrale.
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Ancora oggi, quando ripensa e riparla di quel brutto, strano e drammatico episodio, che ha caratterizzato la sua vita, si emoziona, ma la mente è lucida nel ricordare. Proprio come se tutti giorni, una parte di lui, rivivesse, in uno squarciante flashback, quei tremendi attimi.
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Invitato dal regista e autore del film (sul Mostro) “Nero Fiorentino” Gianpaolo Saccomano a Cremona, nell’ambito dell’appuntamento “Il caso del mostro di Firenze: un mistero lungo 50 anni”, lo abbiamo incontrato. Ecco cosa ci ha detto:
«Era l’undici agosto 1985. Dopo un viaggio lungo, tortuoso e ricco di imprevisti, con la mia ragazza dell’epoca arrivammo in val Pesa, nella villa di un mio amico di Brescia, per partecipare a una festa degli Hare Krishna, movimento a cui lui apparteneva, ma ero stanchissimo. Così lasciammo la casa e cercammo, tra la strada provinciale e il bosco, uno spiazzo per riposare un attimo. Lasciammo l’auto in località Scopeti, a bordo strada, e trovammo uno slargo, riparato dai cespugli per stenderci sopra una coperta e, finalmente, riposare.
Mi addormentai subito, erano più o meno le tre del pomeriggio. Ma dopo nemmeno un’oretta, la mia compagna mi svegliò spaventata, dicendo che aveva sentito dei rumori provenienti da lì vicino. Mi alzai oltre il cespuglio e vidi un uomo invasato, agitatissimo, in preda a un raptus correre, da una stradina sopraelevata rispetto a noi, verso la nostra automobile. Si fiondò su di essa, guardò dentro i finestrini, si sdraiò sul cofano, ripeto era invasato, devastato: noi, immobilizzati dal terrore, dietro il riparo fatto di arbusti, lo guardavamo spaventatissimi.
Mi accorsi che in mano aveva un coltello dalla lama nera e sbavava dalla bocca. A un certo punto, lungo la strada passò una vettura e improvvisamente, la persona che, credendoci in camporella, ci cercava nella macchina, si ricompose, calmandosi in un attimo. E si allontanò incamminandosi lungo la stessa strada, ma in direzione contraria al mezzo che era transitato. Raggiunse una vespa blu, lo vidi trafficare sotto la sella, nel vano portaoggetti.
Scampato il pericolo, noi raggiungemmo in fretta e furia il nostro mezzo. Nel frattempo lui mise in moto la vespa e si mise in strada. Lo superammo e ricordo un particolare: il suo motociclo era tenuto benissimo e pulito, persino il parabrezza era immacolato, segno che probabilmente viveva nei paraggi».
Ricorda se quella figura assomigliava a Pacciani o a uno dei compagni di merende?
«Assolutamente no, era alto, aitante, atletico, ben messo fisicamente. Non assomigliava a nessuno dei compagni di merende».
Potrebbe descriverlo?
«Aveva una faccia spigolosa, il naso aquilino. Era stempiato con i capelli tirati indietro che quasi non si vedevano. Sui cinquant’anni, con occhi spiritati e fuori dalle orbite. Era alto più di un metro e ottanta».
Segnalaste l’accaduto alle forze dell’ordine?
«Dopo qualche settimana, rientrati a casa in Lombardia, appreso del delitto dei turisti provenienti dalla Francia, accaduto da quelle parti, mi recai dai carabinieri della stazione di Desenzano e raccontai il tutto. Evidentemente non diedero tanto peso al fatto».
(Continua)
Stefano Mauri per Cronaca Vera
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