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Stranger Things, la vera storia di Eddie Munson

La Cronaca Vera dei grandi telefilm

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Eddie Munson, personaggio di Stranger Things, una delle serie più amate della tv, è ispirato al protagonista di un’incredibile vicenda giudiziariaIn Stranger Things si rievoca infatti la terribile storia di un innocente finito in carcere per il delitto di tre bambinistranger things

MEMPHIS (Arkansas) – Stranger Things è una delle serie tv più amate, cavallo di battaglia di Netflix e candidato a 5 Golden Globe e a 41 Emmy. Nella quarta stagione è stato introdotto un nuovo personaggio Eddie Munson, interpretato sullo schermo da Joseph Quinn.

E forse non tutti sanno che prende ispirazione dallo scrittore Damien Echols, suo malgrado protagonista di una terribile vicenda di cronaca nera degli anni ’90, nota come “West Memphis Three”, ovvero “I tre di West Memphis”, che vide al centro la morte di tre bambini di 8 anni.

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L’ORRORE

La sera del 5 maggio 1993 sparirono nel nulla, Memphis in Arkansas, i piccoli Christopher Byers, Stevie Branch e Michael Moore. Li trovarono morti il giorno successivo al del Robin Hood Park, un’area boschiva. Qualcuno li aveva denudati, picchiati e legati con i lacci per le scarpe.

Due erano annegati nel fiumiciattolo adiacente. Byers era stato anche accoltellato e aveva subito una mutilazione genitale. Chiamato ad occuparsi del caso, il tenente James Sudbury della polizia locale contattò Steve Jones, un funzionario dei minorenni della Contea di Crittenden.

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I due si convinsero che si trattasse di delitti rituali, commessi da una setta satanica. Cominciarono così ad indagare sugli ambienti considerati più stravaganti, nell’aspetto e nelle abitudini. E presero subito di mira Echols, uno che leggeva i libri di Stephen King e ascoltava i Metallica. Ma anche appassionato della Wicca, una pratica new age che celebra la natura e propone una revisione della figura delle streghe.

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Lo incontrarono e si convinsero, a torto, che sapesse dettagli dei delitti noti solo agli assassini. Presto venne in loro aiuto una giovane, Vicki Hutcheson, la quale raccontò che due settimane dopo i delitti era andata con Echols e l’amico Jessie Misskelley Jr., già baby sitter del proprio figlio, ad un rituale neopagano. Giurò che si erano diretti al rituale con la Fiesta rossa di Echols. Poco importava che quest’ultimo non avesse nè una Fiesta, nè la patente.

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Gli inquirenti sentirono Jessie, un tizio con un quoziente intellettivo di 72, appena sopra al limite legale, interrogandolo per 12 ore senza la presenza di un legale. E questi confessò: raccontò che per tre mesi aveva partecipato a riti di iniziazione nei boschi nei quali si uccidevano e mangiavano i cani. E che nel corso di uno di questi Echols gli aveva mostrato dei tre bimbi morti. Coinvolse anche una terza persona: Jason Baldwin.

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Peccato che la sua versione non tornasse per nulla con i fatti: cambiò gli orari dei delitti, dalla mattina al tardo pomeriggio (perché la mattina i bimbi erano a scuola), disse che i bimbi erano stati violentati anche se non era vero. E che erano stati uccisi sul posto, cosa smentita dai rilievi. Non superò nemmeno il test della macchina della verità e alfine ritrattò.

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Ma a chi indagava poco importò, così come a nulla servì, dopo il processo, la ritrattazione di Vichi, che rivelò di aver mentito nella speranza di una ricompensa. Di fatto i tre furono condannati: Echols a morte e gli altri due all’ergastolo. Ma l’opinione pubblica insorse, convinta che si trattasse di capri espiatori. «Le prove contro di noi erano le nostre preferenze personali nella musica» commentò Baldwin.

COLPEVOLI, MA LIBERI

Due documentari prodotti da HBO fecero indignare l’America per come erano state condotte le indagini e varie star di Hollywood presero le difese dei condannati: Winona Ryder, Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam, Henry Rollins, Marilyn Manson, Peter Jackson e soprattutto Johnny Depp. Finchè nel 2007 i legali dei tre dimostrarono che il dna trovato sulla scena del crimine non apparteneva agli imputati. Tre anni più tardi la Suprema Corte dell’Arkansas, avocato a sè il caso, riaprì il processo.

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E gli avvocati, grazie ad un bizzarro cavillo legale americano denominato Alfor Plea, raggiunsero un accordo con la Procura per i loro assistiti: pur ritenendosi innocenti, i tre dichiararono le accuse fondate e ammisero di essere colpevoli per una pena di 18 anni e 78 giorni di reclusione già scontata, rinunciando a fare causa allo Stato per gli anni ingiustamente trascorsi in prigione. Furono così liberati.

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Nel 2012 un documentario prodotto da Peter Jackson e Fran Walsh virò i sospetti su Terry Hobbs, patrigno di una delle vittime. La sua ex moglie e madre di uno dei bimbi chiese la riapertura del caso. Tre nuovi testimoni apparsi nel documentario depositarono in tribunale le loro dichiarazioni. Tra essi Michael Hobbs Jr., nipote del sospettato, il quale spiegò che il triplice delitto costituiva «un segreto di famiglia, un segreto rimasto tale fino ad oggi». Fu tutto inutile, perché per gli inquirenti i responsabili c’erano già e avevano già pagato le loro colpe.

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Echols sposò la scrittrice Lorri Davis, conosciuta in carcere tramite rapporto epistolario, e iniziò a scrivere libri. I suoi avvocati hanno chiesto a giugno di analizzare le prove biologiche sulla scena del crimine. La richiesta, ancora una volta, è stata respinta. Ma tutti sanno che i veri colpevoli sono ancora a piede libero.

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