Questa è una storia vera e triste che comincia così:
C’è un uomo sulla quarantina con un costume da bagno blu sospeso in mezzo ad uno scheletro.
E’ pallido, l’uomo. Non ha un capello in testa e appare e scompare tra le onde di un agosto toscano caldo e burrascoso.
Lo guardo danzare rimanendo seduto sul mio asciugamano con un libro di Carrisi accanto. Ho paura dell’acqua alta e lui è al largo. Non saprei nemmeno come raggiungerlo.
La sera ho acceso la televisione per seguire le ultime notizie.
Una guardia per divertimento ha sparato a dei cartelli e centrato un bimbo di due anni nello stomaco. Due trapper di periferia hanno attaccato un uomo di colore accusandolo di avere la pelle diversa dalla loro, quindi senza disegnini del cazzo dipinti sopra. Lo hanno insultato e gli hanno buttato la bici sulle rotaie del treno.
La gente che guarda il conto in banca dissanguarsi molto prima dell’arrivo dei soccorsi, la fine del mese, e i politici che si scannano sulla ricezione delle partite di calcio su Dazn.
Gemitaiz contro Jovanotti. Rhove contro Lazza.
Rushdie accoltellato per per i Versi Satanici e Saviano, sempre pronto, che lo sostiene sul primo canale.
Cappato che aiuta una donna a vivere di nuovo e che si autodenuncia per colpa di una falla del buonsenso comune plagiato dalla pandemia clericale.
Khaby Lame che da italiano, diventa italiano solo per il merito di avere un impressionante seguito social.
La gente in spiaggia se ne va al bar a mangiare un fritto misto e a bersi una birra. E’ l’una, il cielo si è coperto. Degli olandesi ritardatari montano una tenda militare e allestiscono il loro campo base.
Un anziano legge il Corriere ma non si schioda dall’articolo sull’infortunio di Di Maria.
Il quarantenne col costume blu resta lì, in mezzo al mare. L’acqua è ghiacciata ma lui se ne frega.
Sembra quasi che sorrida.
Il giorno dopo dei ragazzini sui dieci anni stavano giocando. “Vaffanculo”, diceva uno sbagliando un tiro. “Sei proprio un coglione”, rideva l’altro fregandogli la palla.
Gli sono passato accanto per ordinare una birra sarda non filtrata. Il coccodrillo gonfiabile aveva più buchi di un tossico e la sabbia scottava.
Il mio coetaneo aveva lo stesso costume ed era sempre lì, tra le meduse ed il rumore in lontananza dei motoscafi.
Stavo pensando a dove cenare, quella sera.
Avevo voglia di carne, ma anche di pesce. Avevo il menù a mente e le prospettive di lavoro sul piatto della bilancia. Avevo bisogno di un’altra birra, di un’altra sigaretta.
Guardando mio figlio e mia moglie nuotare ho pensato che la vita nonostante tutto, nonostante le elezioni, la violenza, l’odio, il populismo, il qualunquismo, il degrado, non fosse poi così male.
Potevo gonfiare ancora mille volte il coccodrillo ma si sarebbe sempre arreso.
“Chissenefrega. Venti euro e ne prendiamo un altro”.
Ancora venti euro.
Poi mia moglie si è seduta accanto a me sull’asciugamano.
“Lo vedi quell’uomo laggiù?”
Mi ha indicato con un cenno il quarantenne con il costume blu.
“Lo stavo guardando”.
“Non esce mai dall’acqua. Vive in mezzo al mare da quando sono arrivata.”
“L’ho notato.”
Ha fatto una pausa.
“Ha la leucemia”, ha detto.
Ho guardato il coccodrillo e ho cominciato a liberarlo da quell’ultimo soffio di vita che lo teneva in sospeso.
“Questa sarà la sua ultima estate”, ha aggiunto Daniela.
E allora ho capito che quelle onde che lo circondavano, quell’immensità di nulla, di sole e nuvole nere sopra la testa, quell’attesa così spietata, quel suo ballare scoordinato, non era altro che un ultimo indimenticabile sogno.
Ho girato la bottiglia di birra vuota strozzandola nella sabbia e ho dimenticato tutto quello che mi apparteneva. Ho gonfiato per l’ultima volta il coccodrillo e ho raggiunto mio figlio che stava cercando ancora, temerario, di affrontare l’onda più alta.
A.Rebatto