La scomparsa e la morte di Liliana Resinovich continuano a tenere col fiato sospeso l’opinione pubblica, per la mancanza di punti fermi nelle indagini. Diventa importante fare ricorso alla logica deduttiva, di cui era alfiere il celebre investigatore letterario Sherlock Holmes
Può applicarsi un metodo da fiction letteraria ad un caso maledettamente reale come la morte di Liliana Resinovich?
Sherlock Holmes non è solo un personaggio letterario di successo, ma ha contribuito, grazie alla sua enorme popolarità che non accenna a diminuire, all’applicazione del metodo deduttivo alle indagini criminali. Anche se ad aver teorizzato e introdotto un approccio logico nella caccia ai malviventi è stata un’altra meno nota figura della narrativa poliziesca, Auguste Dupin, è indubbio con Holmes ha dato ad esso una visibilità universale.
Vediamo in breve di che si tratta.
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Una deduzione consiste nel risalire da fatti noti a un fatto sconosciuto.
Lo schema è quello che si ricava dall’esempio seguente.
Tizio è un uomo, gli uomini sono mortali, dunque Tizio è mortale.
Come potete vedere ci sono due fatti sperimentalmente evidenti da cui consegue uno futuro – la morte di Tizio – non ancora accaduto.
Ora, come ben spiegato dagli esperti, Holmes non ricorre propriamente a deduzioni ma ad abduzioni.
L’esempio che segue evidenzia la differenza.
Caio è nato in Europa, gli europei hanno la pelle bianca, Caio ha la pelle bianca.
Balza agli occhi che la conclusione non è, come nel caso della mortalità di Tizio, certa -esistono cittadini europei figli di genitori africani -, ma solo possibile , sia pure con un alto livello di probabilità.
C’è un modo per elevare il grado di certezza di una abduzione avvicinandolo a quella di una deduzione: trovare altre abduzioni convergenti. Rimarrà sempre la possibilità di un errore, ma dovrà considerarsi marginale.
Quando Holmes si esibisce nel suo pezzo forte, ovvero la scoperta del mestiere di un cliente mai visto che si presenta per la prima volta nel suo ufficio di Baker Street, fa esattamente questo. Osservando con attenzione il suo aspetto , ricava un dettaglio che rimanda, abduttivamente, a una certa professione.
L’investigatore non si ferma a questo, ricercando e trovando altri dettagli confermativi.
Alla fine il mestiere sconosciuto risulterà scoperto in modo convincente, tanto da rendere scontata la conferma da parte dell’interessato.
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Fino ad oggi, per l’assenza di prove “dirette” che permettano di spiegare cosa realmente sia accaduto, la morte di Liliana Resinovich è un territorio privilegiato del metodo deduttivo, ovvero abduttivo.
Proviamo a cimentarci, in un gioco serio, in un’analisi di questo tipo.
I FATTI SULLA MORTE DI LILIANA RESINOVICH
Liliana Resinovich, sessantatreenne di Trieste convivente col marito Sebastiano Visintin, ha fatto perdere le sue tracce lo scorso 14 dicembre 2021.
Le indagini svolte dagli inquirenti hanno appurato che quella mattina Liliana era sola in casa in quanto il consorte – secondo quanto da lui riferito -era uscito di buon’ora per una commissione, e poi come suo solito aveva fatto un lungo giro in bicicletta nei dintorni, riprendendo il paesaggio con una telecamera.
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Secondo il tabulato telefonico alle 8.22 la donna ha fatto l’ultima telefonata ad un amico, Claudio Sterpin, vecchia conoscenza ritrovata con un cui anni prima c’era stato un flirt. Si era accordata con lui- questo sostiene l’uomo – per incontrarsi alle 10 a casa sua, dopo essersi recata per motivi imprecisati presso un negozio della Wind nei paraggi, dove però nessuno dei commessi l’ha mai vista. Secondo la testimonianza di una negoziante e filmati di telecamere di servizio Liliana è uscita di casa tra le 8,15 e le 8,30.
Da questo momento in poi, non si sa più nulla di lei.
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I rapporti tra moglie e marito erano all’apparenza nella norma, anche se sono emersi indizi – ad esempio le ricerche in rete di Liliana sulle modalità legali per un divorzio – che potrebbero far pensare a una crisi tra i due.
Per quanto riguarda Claudio Sterpin, Sebastiano Visintin sostiene di ignorare che tra lui e la moglie ci fosse la confidenza assidua attestata dall’inusuale numerosità dei messaggi e contatti telefonici tra di loro. In uno di questi la donna rivolge all’amico l’appellativo AM che potrebbe significare, in codice, “amore mio”. Sterpin ha rivelato, senza poterlo provare, che tra lui e Liliana era sorto un rapporto sentimentale avviato a sfociare in una unione stabile.
Liliana ricompare cadavere il 5 gennaio 2022, nel boschetto dell’ex Ospedale Psichiatrico di San Giovanni di Trieste, frequentato luogo di passaggio almeno di giorno. Il corpo, con indosso i vestiti con cui la donna era uscita, è avvolto dentro due sacchi della pattumiera. Altrettanti sacchetti di plastica trasparente circondano la testa.
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Non vengono ritrovati nella borsetta – vuota -gli oggetti personali, in particolare i suoi due cellulari, che normalmente una persona si porta dietro quando si allontana da casa anche per un breve periodo.
L’esame autoptico attribuisce il decesso a “scompenso cardiaco acuto”, causa di morte naturale di solito dovuta all’aggravarsi di una preesistente condizione patologica – nel caso in questione non documentata- che può anche essere improvvisa. Non ci sono segni di violenza sul cadavere e gli esami tossicologici svolti non hanno trovato nel corpo della vittima tracce di sostanze in grado di procurare la fatale crisi cardiaca.
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Le condizioni del cadavere rendono probabile, ma ovviamente non certo, che l’epoca della morte risalga proprio al 14 dicembre. Imprecisabile da quanto tempo il cadavere si trovasse in quel luogo. Sui sacchetti che avvolgono il cadavere vengono ritrovare impronte di DNA diverso da quello della vittima, ma non apaprtengono a Visintin e Sterpin, né ad altre persone coinvolte nell’indagine.
LE “ABDUZIONI”
Allo stato delle conoscenze scientifiche, come qualsiasi medico potrà confermare, esistono sostanze chimiche, ad esempio gli estratti dai fiori della digitale, in grado di provocare uno scompenso cardiaco mortale, ma lasciano tracce evidenti nel corpo del defunto anche dopo quasi un mese dal decesso, come nel caso di Liliana Resinovich.
Poiché in astratto non si può escludere nulla, potrebbe darsi che o la Resinovich, nell’ipotesi di un suicidio o, in quella di un omicidio, il suo ancora sconosciuto, eventuale assassino, abbiano scoperto , da soli o con l’aiuto di un esperto ricercatore in farmacologia, un composto che provoca uno “scompenso cardiaco” mortale senza lasciare residui.
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Tale eventualità è estremamente improbabile.
Liliana e tutti i suoi parenti e amici non hanno mai avuto le conoscenze e le competenze -né i contatti nell’ambiente della medicina e della farmacologia -necessari per individuare o sintetizzare un diabolico agente silenzioso di scompensi cardiaci.
Per il principio di economia nell’interpretazione dei fatti umani-ben esemplificato nella massima di Guglielmo di Occam, il famoso “rasoio” che mette al bando ogni inutile complicazione- se qualcuno voleva uccidere Liliana Resinovich disponeva di metodi molto più semplici per raggiungere l’obiettivo e poi farla franca, senza passare attraverso una scoperta da premio Nobel della chimica.
Faccio presente che nella zona d’Italia in cui la vittima e l’eventuale omicida abitavano esistono tristemente famosi nascondigli naturali di cadaveri, le foibe, dentro cui far agevolmente sparire il corpo di una persona uccisa.
Perché invece farla ritrovare in un luogo pubblico puntando tutto sull’invisibilità (pur sempre non sicura al cento per cento) dell’agente omicida?
Il ricorso a un “farmaco micidiale” risulta ancora più inverosimile nell’ipotesi di un suicidio.
Non si è mai visto, infatti, che un suicida si preoccupi di generare incertezza sulla causa della propria morte al punto da assumere una sostanza che provoca un attacco di cuore apparentemente naturale.
E’ insomma ragionevole orientarsi verso la soluzione di un decesso di Liliana Resinovich per un imprevedibile, fatale malore. Le statistiche sulle morti improvvise per ragioni cardiologiche indicano che questi eventi non sono poi così rari.
Di certo, più frequenti e usuali di omicidi o suicidi con l’utilizzo di veleni sconosciuti.
Ciò premesso, si danno due possibili varianti:
- Liliana si è recata da sola nel boschetto dell’ex Ospedale Psichiatrico di San Giovanni con l’intenzione, dopo essersi avvolta in sacchi della spazzatura, di morire soffocata calandosi sulla testa e stringendosi al collo dei sacchetti di plastica. Il destino tuttavia ha voluto che, mentre stava portando a termine il suo triste proposito, sia intervenuto ad anticiparlo un inopinato, fatale malore cardiaco .
Questa ipotesi presuppone un forte scoraggiamento, ed anzi una patologica depressione in Liliana. Le circostanze così particolari della morte, infatti, – avvolgersi in sacchi della spazzatura prima di soffocarsi – indicano una profonda sfiducia in se stessa, tanto da volersi paragonare all’immondizia. Tuttavia nel periodo precedente della vita della donna mancano del tutto i segni, ed anche i motivi, di un tale catastrofico sconforto.
Inoltre, che una morte improvvisa per malfunzionamento cardiaco vi verifichi proprio nel corso di un tentativo di suicidio è una coincidenza così rara da indurre a scartarla come troppo improbabile. - Liliana ha subito l’attacco cardiaco in un imprecisato, diverso luogo, ed a trasferirne il corpo nel parco di dell’ospedale è stato qualcun altro, presente al malore o accortosene subito dopo. Costui deve aver avuto un motivo serio per non dare l’allarme per l’improvvisa disgrazia, come sarebbe stato normale, e adoperarsi, invece, per non far sapere dove Liliana era deceduta all’improvviso.
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Per me l’idea del suicidio e totalmente da escludere. Credo possibile invece che la povera Liliana sia uscita con i telefoni e che qualcuno l’abbia incontrata e dopo un’accesa discussione le abbia provocato questo scompenso cardiaco portandola alla morte lo stesso giorno perché nell’autopsia sono stati trovati ciò che aveva mangiato quel mattino. i telefoni i documenti tornano a casa trovati in una borsa totalmente da escludere che possa essere stata usata da lei perché è una borsa estiva. Mi chiedo Ma allora non si usciva con la mascherina? che fine ha fatto? Mi fermo qui ma ci sono troppe incongruenze nei racconti del marito. Sempre pronto a dire che il loro era un matrimonio idilliaco…
assurdo che questo possa accadere in una coppia. E poi ho notato una cosa quando venne interrogato lui su un foglio aveva trascritto tutti i suoi movimenti proprio per essere pronto all’interrogazione.
In realtà sembra che Liliana stesse andando alla Wind non per questioni attinenti i propri smartphone, ma per comprare un telefono da regalare alla nipote. Al di là di questo, è certamente molto insolito uscire di casa senza telefono, soldi, documenti, chiavi, ecc.
Ma il punto è un altro: chi dice che sia davvero uscita di casa?
Stando a quanto oggi è noto, Liliana potrebbe non essere mai uscita:
– il marito dice che quando lui è uscito (prima delle 8) Liliana era ancora in pigiama.
– Sterpin dice che presumibilmente durante la telefonata delle 8,22 Liliana si trovava a casa, data l’assenza di rumori della strada.
– gli avvistamenti delle telecamere e dei testimoni non sono stati confermati al 100%.
Di conseguenza, Liliana potrebbe essere stata uccisa in casa (sicuramente dopo le 8,22), rivestita, tenuta nascosta in un luogo fresco ma non sottozero, e infine portata nel boschetto poco prima del ritrovamento.