Quando si parla di storici nomi associati nella musica italiana, generalmente, si finisce per citare inevitabilmente il duo Battisti/Mogol. Forse i più giovani ignorano un’altra indimenticabile collaborazione che ha regalato alcune delle canzoni più caratteristiche del nostro panorama musicale, ovvero quella tra Leo Chiosso e Fred Buscaglione.
Il loro rapporto ha inizio alla fine della seconda guerra mondiale. Il primo, abile autore appassionato di polizieschi americani ed il secondo, carismatico polistrumentista jazz dalla voce inconfondibile, si legano a filo doppio in un percorso di grande successo ma tragicamente breve.
Dopo aver regalato gioielli conditi di ironia e parodie gangster come Che bambola!, Il dritto di Chicago ed Eri piccola così (forse la più famosa di tutte), le luci dei riflettori si spengono definitivamente all’alba del 3 febbraio 1960 quando Fred, appena trentottenne, si schianta con la sua Ford Thunderbird rosa contro un camion e perde la vita.
Se la morte del cantante torinese mise fine alla sua brillante carriera consegnandolo al mito, quella di Leo Chiosso proseguì negli anni offrendo memorabili pezzi, tra gli altri, a Mina, Giorgio Gaber, Jannacci e Ornella Vanoni.
A cento anni dalla nascita di Fred Buscaglione abbiamo intervistato il figlio di Leo che, inevitabilmente, non poteva che chiamarsi Ferdinando. O meglio, Fred.
A: Parliamo di tuo padre. E’ stato l’autore dei grandi successi di Buscaglione ed oggi, a cento anni dalla nascita del cantante torinese, si celebra un mito che non vuole morire. Tuo padre se n’è andato nel novembre 2006. Quali ricordi hai di lui? Che padre era?
F: Intanto dici bene: è stato un autore e non un “paroliere”, definizione che detestava e riteneva profondamente svilente. Papà è stato l’inventore del personaggio di “Fred” traendo ispirazione dai racconti di Damon Runyon, l’autore di “Bulli e pupe”, per intenderci.
Quando papà se n’è andato io avevo ormai 46 anni e per varie ragioni, pur facendo un altra professione, l’ho affiancato molto spesso.
Era una persona geniale e molto sregolata, con un disordine mentale non indifferente ma di una creatività poliedrica spaventosa.
Come spesso accade tra padre e figlio era tutta una discussione continua ma, quando si ha a che fare con uno che ha fatto dell’umorismo la sua ragione di vita, finiva sempre in vacca e si rideva parecchio.
A: Sicuramente ti avrà parlato spesso di Fred. Qual era il suo ricordo più indimenticabile? E tu, da ragazzino, quando te ne parlava cosa pensavi?
F: Una precisazione immediata: non ricordo un giorno in cui mio padre non mi abbia parlato di Buscaglione, che per lui era più di un fratello.
Chiamarmi Ferdinando (detto Fred) come lui è stato un tentativo disperato di continuare a farlo vivere, di renderlo presente nella sua vita. Credo proprio non ne abbia potuto fare a meno ed io non vi ho mai trovato nulla di strano. Con questo nome sono venuto al mondo e per me è sempre stata la normalità più assoluta.
A: Quali sono i brani di tuo padre che preferisci?
F: Secondo me i pezzi che maggiormente lo rappresentano sono tre: “Che notte”, l’emblema della Chicago degli anni ruggenti, “Ma come ho fatto”, cantata da Ornella Vanoni, perché esprime a tutto tondo il suo modo di essere leggero d’animo e di credere nell’imprevedibilità dell’amore, e poi “Parole parole”, che evidenzia tutto il suo modo di vivere ed affrontare la vita in un modo estremamente disincantato. Sai, papà spesso viene identificato solo come “braccio destro” di Buscaglione ma, in realtà, ha scritto per Mina, Giorgio Gaber, Jannacci e tanti altri.
Ti spiego una cosa: negli anni ’50 la televisione aveva un canale solo, praticamente quasi sperimentale. La carriera di Buscaglione fu tanto fulminea e devastante quanto breve. Dal ’55 al ’60, solo cinque anni. In quel lasso di tempo gli unici intrattenimenti di massa che realmente funzionavano erano i concerti dal vivo nelle balere e nei night. quindi scrivere canzoni era necessariamente l’attività principale per uno come lui.
Dopo, nel post Buscaglione, la Rai incominciò ad aumentare le produzioni di spettacoli d’intrattenimento ed allora arrivò la prima collaborazione come autore televisivo in coppia con quello che lui ha sempre considerato il suo maestro e mentore: il grandissimo Marcello Marchesi. Poi arrivarono i grandi successi, sia televisivi che musicali.
A: Se pensi alla morte di Fred cosa ti viene in mente? Cosa sarebbe potuto succedere se quella tragica notte del 1960 non fosse mai esistita?
F: Intanto mi sarei chiamato Giovanni, in memoria di un fratello di mia mamma purtroppo morto giovanissimo. Secondariamente papà e Fred avrebbero ancora fatto scintille perché la loro vena creativa era solo all’inizio.
A: Secondo te cosa distingue l’opera di tuo padre e Buscaglione da quella di tanti altri artisti ormai dimenticati? Cosa rende i loro brani ancora oggi di culto?
F: Sicuramente il linguaggio era molto avanti. Infatti dal ’52 al ’55 fecero molta fatica ad essere “capiti” (gli altri cantavano Grazie dei fiori e Vecchio scarpone, non so se rendo l’idea) ma poi arrivò un successo talmente deflagrante che l’Italia sembrò impazzita. In quegli anni di autentico successo da delirio, Renato Carosone lasciò le scene dichiarando di volersi ritirare all’apice del successo. La verità, però, era un’altra: con l’esplosione di Buscaglione non vendeva più un disco nemmeno ai parenti stretti.
A: Ultima domanda. Tu ti chiami Fred, segno di un affetto quasi fraterno nei confronti di Buscaglione da parte di Leo. Quanto è importante (o difficile da portare) per te un nome come questo?
F: Beh, questo è un tasto molto importante nella mia vita. Fred venne designato ad essere il mio padrino. Morì il 3 febbraio del ’60 ed io venni al mondo esattamente 21 giorni dopo, il 24 febbraio, tra l’altro il giorno stesso nel quale uscì nelle sale cinematografiche Noi Duri, il suo ultimo film.
Sua moglie Fatima Robin’s, come previsto, mi fece da madrina e Fred venne sostituito da Gino Latilla, colui che sponsorizzò il primo disco di Fred e papà lanciandoli verso il successo. Chiosso, Buscaglione e Latilla, il famoso Trio Pastiglia. I destini di tre grandi uomini che si incrociano sulla mia esistenza. Per tutta la mia famiglia, per me e per la mia madrina Fatima, Fred è sempre stato considerato, sia moralmente che concretamente, il mio vero padrino.
Portare questo nome, per me, è sempre stato solo un orgoglio ed un piacere, mai un peso.
E’ così da quando sono nato e ormai non ci penso quasi più. Forse questa è la cosa più bella.
Si conclude così la nostra chiacchierata.
Sono passati tanti anni da quando il fumo di mille sigarette riempiva i night sollevando una nebbia tale da rendere impossibile anche solo riconoscere un amico dall’altra parte del tavolo.
Ma se qualcuno, nel vociare confuso, avesse alzato il tono della voce per ordinare un whisky e si fosse approcciato ad una ragazza con “Ehi, bambola!”, probabilmente da lì a poco sarebbe salito sul palco apparendo nella nebbia.
Avrebbe sorriso sotto i baffi, salutato con un gesto il suo socio e cominciato a trascinarci nel suo mondo così lontano e surreale. E quella notte sarebbe rimasta immortale.
“Che nebbia, che botte, che baci.
Ragazzi,
Che notte quella notte.”
Alex Rebatto