Dai laghi di Marte al pianeta Kepler-186f: tutte le più importanti scoperte che ci stanno portando a scoprire la vita extraterreste. Col contributo fondamentale della tecnologia italiana.
«Un atterraggio morbido con un oggetto realizzato dall’uomo sulla superficie di una cometa è una sfida, mai tentata prima, da cui ci aspettiamo sorprese sulla storia dell’evoluzione del nostro sistema solare». Così Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, commentava a novembre l’ancoraggio del lander Philae sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. La Missione Rosetta ha compiuto la sua prima parte. Ora il robottino cubico dell’Esa da un metro per lato, dopo aver percorso in dieci anni 6,5 miliardi di chilometri, essere atterrato esattamente nel punto in cui voleva, aver inviato foto e trivellato per cinquanta centimetri il “terreno”, si è addormentato. Si risveglierà con l’avvicinamento al Sole, quando le batterie potranno ricaricarsi.
PROGETTO ITALIANO- Un progetto che “parla” italiano, nel senso che gran parte delle strumentazioni, sono state ideate in Italia e sono capaci di lavorare ad una distanza attuale dalla Terra di 510 milioni di chilometri. A partire dal trapano, denominato SD2 e programmato al Politecnico di Milano. Philae analizza in loco e invia dati, galvanizzando gli scienziati del Belpaese che si sentono, a ragion veduta, eredi di quell’esplorazione, all’epoca solo visiva, di Galileo Galilei, col suo cannocchiale. «I dati che stanno arrivando – ha commentato ancora Battiston – indicano che tutti gli strumenti hanno funzionato. Siamo in attesa di sapere se il trapano ha toccato Terra: il fatto che si sia esteso correttamente e ritratto, è comunque la dimostrazione di come la tecnologia italiana sia di ottimo livello».
L’ATTESA- Adesso le agenzie spaziali di Italia (ASI), Francia (CNES) e Germania (DLR) dovranno analizzare i dati ricevuti e scoprire cosa di nuovo ci ha portato al momento questa missione, giunta ormai a compimento da un mese. Mentre il mondo scientifico va in fibrillazione, Samantha Cristoforetti, prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea, è partita sulla Soyuz TMA-15M, coi colleghi Terry Virts, americano, e Anton Shkaplerov, russo, per giungere sulla Stazione spaziale internazionale. Obiettivo: esperimenti sulla fisiologia umana, analisi biologiche, stampa di oggetti tridimensionali in assenza di gravità, capaci di sfornare pezzi di ricambio per la stazione stessa senza attenderli dalla Terra. Come dire: rendere autonoma la missione spaziale. Ancora meglio: esplorare lo spazio in libertà.
L’ULTIMA FRONTIERA. Storia della conquista dello spazio. I: Dai missili all’uomo nello spazio. II: Dallo sbarco sulla luna alle navette spaziali. III: Dal progetto Mercury alle capsule apollo e Soyuz. IV: Verso nuovi orizzonti:
L’IMMAGINARIO- È normale che così anche l’immaginario popolare ritorni all’epoca dello sbarco sulla Luna e viva le missioni ponendosi la domanda di sempre: c’è altra vita nell’Universo? Che si tratti di una vera e propria febbre in grado di contagiare anche le arti lo dimostra il film Interstellar di Christopher Nolan, che sbanca i box office e per realizzare il quale il regista di è affidato alla consulenza di Kip Thorne, fisico teorico ed esperto di buchi neri che al California Institute of Technology ha studiato la possibilità meramente teorica di viaggiare nel tempo attraverso i famigerati wormhole, capaci di mettere in comunicazione luoghi lontanissimi tra loro.
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IL CANALE DELLA NASA- Sul web invece la Nasa ha lanciato il suo canale su Soundcloud, piazzandoci rumori, suoni e frasi importanti di 50 anni di missioni spaziali americane. A partire naturalmente da «Houston, abbiamo avuto un problema». Il tutto proprio mentre rientra da segreti viaggi nello spazio, dopo due anni di navigazione, lo shuttle del Pentagono X-37B.
IL CASO DI MARTE- Inutile negare che all’entusiasmo generale hanno contribuito gli studi su Marte. A partire dal meteorite ALH 84001, roccia che si ritiene provenga dal pianeta rosso, all’interno del quale si ipotizzava ci fossero microbi fossilizzati. Fino ad arrivare ai risultati del rover Opportunity che, in dieci anni di missione, ha infine fornito indizi sul fatto che, in tempi remoti, su Marte scorresse l’acqua allo stato fluido. Il che, naturalmente, è un passo fondamentale per la vita. Nel 2013 alcuni scienziati guidati da Bernard Wood, dell’Università di Oxford, sono andati oltre, spingendosi a dire che quattro miliardi di anni fa Marte era provvisto di un’atmosfera particolarmente ricca di ossigeno. Di più: il 12 marzo 2013, basandosi sulle analisi di campioni di rocce raccolte dal rover Curiosity, ultimo dei tre robot giunti sul pianeta rosso, la Nasa ha confermato che molto probabilmente un tempo su Marte esistevano le condizioni per lo sviluppo di microrganismi. A dare una risposta definitiva al quesito sarà ancora una volta una missione che vede in prima linea l’Italia, col modulo di discesa Edm che partirà a gennaio 2016 in un viaggio di nove mesi per scavare il sottosuolo per 218 giorni. Anche qui l’Italia entra in campo per le tecnologie.
I LAGHI DI MARTE- Ma proprio in questi giorni si sono promosse delle ipotesi, proprio sulla base dei dati raccolti da Curiosity: su Marte sarebbe esistitito più di un lago. E uno certamente ha occupato per milioni di anni il cratere Gale, 155 chilometri di diametro, e il monte Sharp. Lo dimostrerebbero tre tipi di sedimenti presenti nel “lago”: detriti, sabbia e argilla. «Le scoperte sull’evoluzione dell’ambiente di Marte contribuiranno a orientare le future missioni a caccia di segni di vita marziana» ha dichiarato Michael Meyer, alla guida del programma d’esplorazione per la Nasa. La tesi? Tre miliardi e mezzo di anni fa Marte avrebbe avuto un clima mite e umido per lungo tempo, capace di garantire l’esistenza della vita.
I PIANETI UGUALI ALLA TERRA- Ma forse le scoperte che più fanno sognare sono quelle del telescopio Kepler della Nasa, che negli ultimi due anni hanno regalato grandi scoperte. Prima due pianeti molto simili alla Terra, che ruotano intorno alla stella Kepler-62, di quali l’astrofisico Justin Crepp, dell’Università americana di Notre Dame, ha detto: «Secondo i dati che abbiamo a disposizione, relativi al raggio e al periodo orbitale, questi sono i pianeti più simili alla Terra mai scoperti». Tuttavia si trovano ad una distanza rispettivamente di 2000 e 3000 anni luce. E mentre gli scienziati si concentrano a cercarne ad almeno 50 anni luce (ci vorranno una decina di anni), ecco che l’Universo si allarga: vengono scoperti 715 nuovi pianeti che orbitano intorno a 305 stelle. Infine, ad aprile, l’annuncio della scoperta di Kepler-186f, pianeta del 10% più grande della Terra, il più esterno di cinque pianeti ruotanti intorno ad una nana rossa, sempre nella nostra via Lattea. Lì, dicono, potrebbe scorrere acqua. Acqua vuol dire vita. E sognare resta lecito. Peccato la distanza: 500 anni luce.
Manuel Montero