In un precedente post crediamo di aver dimostrato che chi si sottopone al vaccino protegge se stesso e gli altri dall’epidemia da covid 19 molto meglio di chi non lo fa.
Gli studi medici e i dati epidemiologici reali (una vera messe ormai, per le altissime percentuali di vaccinati nella popolazione italiana) indicano che i non vaccinati sono molto più sensibili dei vaccinati all’infezione, all’aggravamento e alla morte a causa della malattia.
Di conseguenza, il diverso trattamento che la normativa sul green pass riserva ai vaccinati – tenuti a esibire, per accedere a determinati luoghi della vita sociale, unicamente il certificato di avvenuta vaccinazione, valevole per un lungo periodo – e ai non vaccinati – obbligati a esibire un certificato di esito negativo al test di positività al virus, da ripetere a distanza di pochi giorni – ha un solido fondamento scientifico.
Il problema, tuttavia ha un’altra faccia, di carattere politico-giuridico, anzi più propriamente politico- costituzionalistico, di cui proveremo ad occuparci in questo post.
È giusto che i non vaccinati sopportino un onere economico per procurarsi il green pass, visto che il test clinico necessario, il cosiddetto tampone, è a pagamento, e gli esiti vanno aggiornati di continuo, mentre i vaccinati ottengono il green pass senza onere, visto che il costo della somministrazione del vaccino è a carico dello stato?
Questa situazione sarebbe aggravata dal fatto che il green pass dal 15 ottobre è indispensabile per accedere ai luoghi di lavoro, e dunque per procurarsi un reddito.
La questione è piuttosto complessa, in quanto chiama in causa diverse importanti norme della costituzione repubblicana, in particolare quelle degli articoli 3 (principio di eguaglianza, formale e sostanziale): 4 (diritto al lavoro); 32 (tutela della salute); art. 53 (concorso dei cittadini alle spese pubbliche).
Secondo molti giuristi ( ne citiamo due: il costituzionalista Michele Ainis e il civilista Ugo Mattei) la discriminazione “economica” indotta dal green pass andrebbe sanata rendendo il tampone per ottenere il greenpass gratuito (Mattei) o comunque calmierato (Ainis).
A rigore, siccome l’art. 32 detta che lo stato deve garantire cure gratuite solo agli indigenti, e l’art. 53 detta che i cittadini devono essere chiamati a concorrere alle spese sanitarie pubbliche in base alla “capacità contributiva”, l’accesso gratuito al vaccino e al tampone dovrebbe essere garantito solo ai soggetti senza reddito o con un reddito molto basso.
Per tutti gli altri, il costo a loro carico – del tampone e del vaccino – dovrebbe essere parametrato al reddito.
Un sistema certamente complesso, ma aderente alla lettera costituzionale.
Non sfuggirà che, in tal modo, rimarrebbe, analogamente a ciò che accade con la normativa in essere, un maggior onere a carico di chi sceglie il tampone ( per la necessità di ripetere l’esame più volte alla settimana) invece del vaccino ( trattamento medico a basso costo che si effettua solo due volte in tutto).
Tuttavia, stando all’ indiscussa maggior efficacia per la salute del singolo e della collettività, scientificamente dimostrata, del vaccino rispetto al tampone, la diversa incidenza dell’onere economico tra cittadini vaccinati e non – fermo restando la gratuità del tampone, e del vaccino, per i veri “poveri” e la proporzionalità del contributo richiesto alla ricchezza di ciascuno – non sarebbe in alcun modo censurabile. Anzi, costituirebbe una chiara applicazione del principio di eguaglianza sostanziale, enunciato dall’articolo 3, il quale, ampliando il concetto di eguaglianza formale ( tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge, e quindi non si possono regolare in modo diverso situazioni oggettivamente identiche), prevede che non si possano regolare in modo identico situazioni oggettivamente diverse.
Aggiungo che l’indiscutibile costituzionalità di questo sistema sarebbe rafforzata dal fatto che chiunque può scegliere, liberamente, di sottoporsi a vaccinazione o a tampone periodico con la consapevolezza delle conseguenze.
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