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Il Covid e la scomparsa dei fatti

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Quando abbiamo chiuso il Momento di questa settimana le ultime, drammatiche manifestazioni contro il green pass non c’erano ancora state. Ma non era difficile prevederle – Come sempre, online pubblichiamo anche i documenti inerenti l’articolo

 

Il professor Roberto Burioni è tornato a parlare a “Che tempo che fa”. Da questo pulpito, il 2 febbraio 2020, mentre Francia e Germania erano già state raggiunte dal Coronavirus e due cinesi positivi avevano attraversato la Penisola, il virologo azzardò la sua previsione per il Paese: «Covid? Per l’Italia il rischio è zero». I fatti, com’è noto, andarono molto diversamente. Ma siccome i fatti in Italia non hanno più alcuna importanza, Burioni divenne subito uno degli esperti più ascoltati dai media. Stavolta lo studioso si è cimentato in un monologo nel quale ha sostenuto che di vaccino sia morta «probabilmente» una sola persona, in Nuova Zelanda. Avrebbero potuto dirgli che i dati di Eudravigilance sulla segnalazione dei decessi (parecchie migliaia) consiglierebbero prudenza nell’esporsi così, o chiedergli lumi sull’ultimo rapporto Aifa, in cui si sospettano numeri diversi. Invece no.

Sul Corriere della Sera Burioni ha ribadito il concetto, precisando che «fortunatamente i vaccini utilizzati contro Covid in Italia (quelli a mRNA) sono estremamente sicuri». E qualcuno avrebbe potuto rammentargli che a milioni di italiani non hanno inoculato vaccini a mRNA (Pfizer e Moderna), ma Astrazeneca (oggi donato all’estero perché nessuno lo vuole più). E costoro hanno dovuto firmare un consenso informato in cui era scritto che il vaccino poteva provocare trombosi con la specifica: «Alcuni casi hanno avuto esito fatale». Ma nessuno ha detto o scritto niente, perché, appunto, ai media i fatti non interessano più. Nè a loro, nè ai politici.

Non è un caso che solo un cittadino su due sia andato a votare. Enrico Letta, segretario del Pd, nel commentare l’esito elettorale si è detto certo: «Siamo tornati in sintonia con il Paese». Eppure non dovrebbe essere difficile capire che se in una democrazia appena il 50% ha ancora fiducia nell’urna, il rischio più probabile è che l’altra metà cerchi modi diversi per far valere i propri diritti. D’altra parte, vien da dire, perché votare? I governi che si sono succeduti hanno avuto e hanno tuttora al vertice persone che nessuno ha mai eletto, con maggioranze che si odiano ma che stanno insieme, aggrappate alla poltrona come un koala su un eucalipto. I provvedimenti demenziali non si contano più. Si pensi ai famigerati e inutilizzati banchi a rotelle, costati un’iradiddio e che ora dovranno essere buttati perché addirittura prendono fuoco.

E a proposito di provvedimenti demenziali, questa è la settimana in cui per lavorare si dovrà esibire il Green Pass, lo strumento con cui si cerca di obbligare tutti a vaccinarsi. Si va pure verso la terza dose e – come avevamo preannunciato lo scorso luglio – questa storia è destinata a non finire, perché Ugur Sahin, amministratore di Biontech, l’azienda coproprietaria del vaccino Pfizer, ha già ipotizzato al Financial Times l’idea di un nuovo vaccino per il prossimo anno, con una versione specifica per le future mutazioni. Ma perché farci bucare ancora?

L’emergenza l’abbiamo vista a Bergamo nel marzo 2020, quando – per ragioni tuttora ignote moriva un contagiato ufficiale su cinque. Ma oggi la letalità sui soggetti in età lavorativa, dati dell’Iss alla mano, va dall’1 per mille nei trentenni, al 2 per mille nei quarantenni, al 9 per mille nei cinquantenni. Serve davvero ancora la politica dei vaccini di ultima generazione e del contestatissimo green pass? Oggi il protocollo del Mario Negri (a base di Aulin o Aspirina e antibiotici), molto diverso dalla controproducente Tachipirina e vigile attesa imposta dal Governo, è in grado di ridurre del 90% l’ospedalizzazione. Dunque, perché tenere gli italiani sospesi nell’emergenza a portata di lasciapassare? Non si sa. Però l’Aifa ha pure finalmente autorizzato l’uso di tre farmaci anticovid che da mesi attendevano il via libera dell’Ema e capaci di abbattere la mortalità, tra cui l’anakinra e il baricitinib. Curiosamente questi ultimi due sono solitamente indicati per l’artrite reumatoide.

Curiosamente perché, per la medesima patologia è indicato un altro farmaco che veniva utilizzato da centinaia di nostri medici assai prima dell’era dei nuovi vaccini: addirittura nella primavera 2020, fino a quando un falso studio (ad opera, tra gli altri, di uno scrittore di fantascienza e di una modella porno) non convinse l’Aifa a bloccarne l’uso senza mai più riprenderlo. Parliamo dell’idrossiclorochina. Sicchè ci viene il dubbio che anche questa, già adottata contro la Sars, funzionasse e potesse aiutare a risolvere le cose già un anno e mezzo fa.

Ma all’epoca, i nostri esperti dei salotti tv la giudicavano roba pericolosa o quantomeno inutile, come il plasma iperimmune. Così, i dottori che giuravano di aver guarito tantissime persone con tali cure venivano trattati sui media alla stregua di ciarlatani. E il ministero della Salute ribadiva: idrossiclorochina e plasma non funzionano. E sarà anche così.

Ma, come sempre, i fatti sono scomparsi da giornali, televisioni e politica. C’è infatti un Paese che fin dal febbraio 2020 ha raccomandato l’uso di idrossiclorochina e plasma iperimmune ai propri medici; è lo stesso Paese che ha usato un “vaccino tradizionale” di cui però i nostri scienziati e i nostri governanti non si fidavano; un Paese la cui densità abitativa è infinitamente superiore alla nostra e nel quale dunque nessun durissimo lockdown senza adeguate cure avrebbe potuto fermare la strage di un’epidemia scoperta settimane dopo i primi contagi: è la Cina, il luogo in cui tutto è cominciato. Oggi l’Italia, che ha bocciato quelle terapie, nonostante sia il secondo Stato più vaccinato d’Europa, stando ai dati di Worldometer è al ventesimo posto per mortalità, con 2173 decessi ogni milione di abitanti. La Cina è al posto numero 206, con 3 decessi per milione di abitanti, praticamente immune al virus e con un’economia che non è mai stata tanto florida. Un motivo ci sarà.

(Dal Momento di Cronaca Vera in edicola)

 

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