Alcune considerazioni storiche e ambientali sul Teatro alla Scala, location del romanzo “Il Fantasma all’opera”, pubblicato nel n° 16 dei Gialli di Crimen: Sherlock Holmes, misteri italiani“. Con un brano in anteprima.
All’epoca del romanzo “Il Fantasma all’opera”, nel 1903, il Teatro alla Scala visto dall’esterno era sostanzialmente uguale a come lo vediamo adesso. Unica differenza, lo svettare oggi, alle spalle dell’edificio originario costruito nel 1778, della nuova torre scenica e della cosiddetta “torre ellittica”.
Dal punto di vista del pubblico che, dentro la sala intitolata all’architetto progettista, Giuseppe Piermarini, assiste agli spettacoli in platea, nei palchi o in galleria, le differenze si riducono ad una: la presenza della buca d’orchestra, o “golfo mistico”. Nel 1903 questa innovazione, introdotta da Wagner e divenuta universale, non era ancora arrivata a Milano.
L’orchestra suonava, ben visibile al pubblico, su una pedana prospiciente al palcoscenico.
Tutto il resto era completamente diverso.
Per “tutto il resto” intendo ciò che il pubblico continua a non conoscere, ovvero il “dietro le quinte”. Non solo le strutture e i locali che circondano il palcoscenico, alla sua altezza, innalzate sopra di esso o sprofondate nel sottosuolo, ma anche la parte dell’edificio dedicata ad uffici o luoghi di prova.
La ristrutturazione realizzata dal 2002 al 2004 ha lasciato intatto il “cuore” dello stabile, ovvero la già citata Sala Piermarini con gli alloggi per gli spettatori, soggetta a mero restauro conservativo, ma ha inciso in modo sostanziale sull’involucro che circonda quel nucleo.
Lo ha ampliato, modernizzato e reso più funzionale, ad esempio per quanto riguarda i “ponti mobili” del palcoscenico, sostituendo la vecchia struttura a funzionamento idraulico con una supertecnologica a comando elettronico, ma ha anche fatto sparire il vecchio edificio settecentesco che per più di due secoli e mezzo aveva fatto da contorno all’attività teatrale, assorbendone lo spirito così unico.
Si tratta, o meglio si trattava, di un dedalo di stanze, scale, corridoi e cuniculi, al cui interno si sono mossi interpreti e addetti agli spettacoli, in un’atmosfera resa affascinante dalla lunga storia e dalla suggestione magica del teatro.
Un simile ambiente, ben conosciuto da chi, come me, ho avuto la fortuna di frequentarlo per quindici anni prima della ristrutturazione, era lo scenario ideale per storie goticheggianti e un po’ tenebrose, come quella, “Il fantasma dell’Opera” ambientata da Gastone Leroux all’Opera Garnier di Parigi.
“Il Fantasma all’opera”, riecheggia con un gioco di parole il titolo del romanzo di Leroux: non lo spettro che si annida nell’edificio dell’opera (di Parigi), ma “il Fantasma”, imprendibile criminale trasformista, che è (maleficamente) all’opera nell’edificio milanese del Piermarini.
“Il Fantasma all’opera” è dunque prima di tutto un tributo nostalgico ai meandri un po’ polverosi e in penombra della vecchia Scala, un luogo che sembra fatto apposta per favorire le trame di un cattivo diabolico e sfuggente come il Fantasma. Cosicché il primo investigatore della letteratura poliziesca, il geniale francese Auguste Dupin, capostipite di Sherlock Holmes, per contrastarlo deve immergersi nello stesso contesto dal fascino insidioso.
Ma la Scala è anche altro, di cui ho cercato di rendere l’idea.
Questo teatro è un’incarnazione. Quella del melodramma, la forma di spettacolo più completa, che fonde musica, parola e visione.
Tutte le volte che su quel palcoscenico si rappresenta un’opera, si risveglia, per uno straordinario sortilegio, un piacere degli occhi, della vista e dell’udito che sembrava irripetibile l’ultima volta che si era manifestato, magari solo qualche giorno prima…
DA “Il FANTASMA ALL’OPERA”, atto terzo scena quarta”
Nel corridoio che divideva la pedana dalle poltrone di prima fila, si distingueva la figura elegantissima di Corrado De Pretis. Stava intrattenendosi con una persona con un fisico solido e la gestualità vivace, in tuta di lavoro.«Giovanbattista Mercurio, il capo macchinista» aveva precisato Gatti Casazza senza aggiungere altro, sicuro che i suoi ospiti sapessero che il capo macchinista guidava le maestranze impegnate nei cambi di scena e nei movimenti scenografici. Non poteva sfuggire a Dupin e Juve la presenza della signora Toscanini e di soeur Morel, sedute a rispettosa distanza nelle prime file. Era sicuro che la prima, ma probabilmente anche la seconda, avrebbero gradito assistere alla prova da dietro alle quinte, per meglio tener d’occhio le persone a cui erano legate. Ma era altrettanto sicuro che non avessero osato chiederlo al direttore d’orchestra, inflessibile nel pretendere un’assoluta concentrazione da tutti quanti erano coinvolti nello spettacolo. Non c’era dubbio, nei camerini degli artisti prima di una prova diretta da Toscanini non si sentiva volare una mosca. Ma anche gli operai di scena e gli altri interpreti, comparse e coro, erano concentratissimi e limitavano al massimo rumori e attività superflue.Di colpo si sentì un cambiamento nell’atmosfera. Come una variazione di campo magnetico. Tutti i presenti in sala, e verosimilmente anche coloro che stavano dietro al sipario, rimasero in silenzio, col fiato sospeso, in attesa di un evento unico.Dupin e Juve si ritrovarono loro malgrado coinvolti nel generale senso di sospensione.Poi l’evento accadde.(N.14 – Cavatina solenne)Da un’entrata laterale, proprio sotto alla balaustra del palco del Viceré, uscì una figura magra e impettita.Toscanini.Mentre saliva sulla pedana per raggiungere il podio, Dupin e Juve ebbero l’illusione di un applauso scrosciante, come se il teatro fosse pieno di pubblico.Toscanini diede un rapido sguardo agli orchestrali, immobili e tesi, poi alzò la bacchetta.Le luci si spensero e iniziò la musica.Rino CasazzaGuarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI