Nella variegata squadra degli autori della casa editrice Fratelli Frilli, ormai un pilastro nel panorama della letteratura poliziesca nostrana, spiccano numerosi nomi femminili. Di alcuni (Maria Masella, Maria Teresa Valle, Laura Veroni e Sabrina Sebastiani) mi sono precedentemente occupato. Grazie a loro, l’antiquato pregiudizio che la narrativa gialla, anche nel nostro paese, sarebbe un filone letterario maschile ha subito il colpo definitivo. La scrittrice pubblicata dell’editore genovese di cui mi accingo a parlare è la pavese Paola Mizar Paini, autrice del romanzo La casa delle ombre.Diciamo subito che la Paini declina il genere giallo in modo non convenzionale.Nonostante la sua storia rispetti il canone del poliziesco e si possa e debba, quindi, leggere in questa chiave, ovvero come la vicenda di un’indagine su un delitto misterioso che, grazie alla capacità degli investigatori, porta alla scoperta di una verità sorprendente, c’è in essa una impronta originale .Innanzitutto, il plurale “investigatori” è assolutamente appropriato in quanto, benché il personaggio centrale sia il Maresciallo Marchi, a districare la matassa non è lui solo, ma determinante è il contributo di una singolare collega, ed anzi formalmente suo superiore, Il tenente Sabrina Ferri, e di un’altrettanto singolare investigatrice privata, Ilena Di Zio.Due donne, guarda caso. E sarebbero tre, visto che a dire la sua c’è anche una spigolosa e competentissima medico legale, la dottoressa Maria Claudia Pisano. Se dovessimo pesare i meriti, la fetta più grande andrebbe senz’altro a loro, anche perché Marchi, alle prese con seri problemi coniugali che ne condizionano l’efficienza professionale, emerge più come personaggio, complicato e travagliato, che come investigatore.Il fatto criminoso al centro del romanzo, la morte tragica di una giovane extracomunitaria dal lavoro precario, bella e forse ingenua, trovata cadavere per caso fortuito dopo essere scomparsa in circostanze equivoche, è tratteggiato nelle sue molte implicazioni sociali e psicologiche ma, nonostante la carne al fuoco sia già molta, non è ancora questo il fulcro della storia.
Sopra tutto e tutti, con inquietante funzione demiurgica, a muovere i fili degli eventi e condizionare le azioni dei protagonisti benché sia un oggetto inanimato (o forse no?), sta lei, Villa Cerri di Lomello, la “villa degli amanti maledetti”, uno splendido esempio di architettura liberty che si erge in tutta la sua solitaria bellezza in mezzo alla campagna.
Nel leggere il romanzo avevo chiaro che questo edificio esistesse davvero, ma pensavo che le storie sinistre appartenenti al suo passato, raccontate con dovizia di macabri dettagli, fossero inventate.
Non è così. La torbida vicenda di amore e morte oggetto dell’inchiesta affidata al Maresciallo Marchi (o meglio: al pool di donne in gamba di cui lui è primus inter pares) va solamente ad aggiungersi alla catena di misteri riguardanti la villa di cui è rimasta traccia nella cronaca locale.
Così, nonostante la soluzione finale di geometrica precisione, in cui tutte le false apparenze si dissolvono e rimane solo un’evidenza che, a saperla cogliere, sarebbe stata sotto gli occhi del lettore, continua ad aleggiare un dubbio.
Si è trattato di un caso di omicidio come tanti altri, in cui si manifesta il lato perverso dell’amore, oppure il luogo del crimine, la “villa maledetta”, ha ispirato, o addirittura generato, per contaminazione, una violenza simile a quella di cui era impregnata?
Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI