Sulla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet” qualche giorno fa è apparso un contributo, a firma del caporedattore Richard Horton, che si inserisce nel dibattito su come inquadrare e affrontare l’epidemia innescata dal virus Covid 19 . Il professor Horton è autore del libro, “La catastrofe”, che analizza criticamente le misure adottate a livello mondiale per contrastare il contagio.
Richard Horton, medico e professore onorario in diverse istituzioni formative inglesi e norvegesi, dirige la famosa rivista scientifica inglese “The Lancet”.
Nel saggio “La catastrofe”, uscito quest’anno, Horton non ha risparmiato critiche anche aspre al governo Johnson, per essersi lasciato travolgere dall’epidemia da COVID 19 puntando sulla soluzione, rivelatasi fallimentare, di lasciar correre il virus per raggiungere la c.d. “immunità di gregge”.
In un articolo di qualche giorno fa, uscito su “The Lancet”,dal titolo “COVID-19 is not a pandemic” ha spiazzato tutti sostenendo la radicale peculiarità della crisi sanitaria provocata dal nuovo coronavirus.
Tutto parte dalla definizione dell’evento, che andrebbe a suo giudizio etichettato non come “pandemia”, ma come “sindemia”.
Il concetto di “sindemia” è stato introdotto negli anni Novanta del secolo scorso da un antropologo medico, Merril Singer.
Per comprenderlo meglio bisogna far riferimento al greco antico. Il prefisso “pan”, derivato da quella lingua, significa “tutto”, mentre “sin” significa “con”.
Una pandemia è un contagio, dovuto a una malattia infettiva, che colpisce indistintamente, con uguale pericolosità, tutte le persone.
Una sindemia, invece, un contagio che colpisce in modo grave solo le persone portatrici di certe altre patologie e/o che versano in determinate condizioni socioeconomiche.
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: la “sindemia” non ha nulla a che spartire con la teoria , sbagliata come quella dell’immunità di gregge, basata sulla distinzione tra morti per il virus ( ovvero le vittime, altrimenti sane, stroncate dall’aver contratto la sars-covid 2, la malattia innescata dal virus ) e morti con il virus (ovvero le vittime afflitte da altre patologie le cui condizioni di salute si sono irreparabilmente aggravate per aver contratto la sars-covid 2 )
Secondo questa teoria andrebbero ascritte al covid 19 solo le vittime del primo tipo, mentre per Horton sono a pieno titolo da considerarsi vittime del covid 19 anche le seconde. Tuttavia lo studioso inglese non nasconde che, diversamente da altre epidemie del passato, quella per covid 19, dati statistici alla mano, risulta essere totalmente innocua per la maggior parte della popolazione, che non manifesta alcun sintomo, o si ammala in modo curabile.
Le altre pandemie conosciute, come la peste nera medioevale, o l’influenza c.d. spagnola, si sono rivelate fatali trasversalmente. Val la pena di sottolineare come Horton tra le condizioni che trasformano la sars-covid 2 in malattia letale, non ricomprende l’età avanzata in sé, ma una serie di malattie croniche non trasmissibili (ovvero non infettive) che possono colpire, e di fatto colpiscono persone di tutte le età. Esse sono, oltre al cancro, l’obesità, il diabete, le malattie cardio-vascolari (ad esempio l’ipertensione) e quelle respiratorie (ad esempio l’asma o la bronchite cronica).
A questi fattori sfavorevoli di rilevanza medica, se ne aggiungono altri di natura squisitamente socioeconomica, che rendono più difficile, ed anzi addirittura impossibile una cura efficace. Tali fattori possono aggiungersi alle comorbilità pericolose, o addirittura operare sfavorevolente di per sé.
Il principale di questi fattori non medici è, com’è facile arguire, la povertà: nessun dubbio, per esempio, che se il coronavirus si diffonde in una baraccopoli sudamericana o in un cittadina svedese, le conseguenze sono molto diverse in termini di gravità e letalità. Secondo l’ottica sindemica, l’età avanzata va considerato un fattore socioeconomico, per la maggior vulnerabilità in generale dei cittadini anziani nella società attuale, più marcata in contesti sociali disagiati.
Estremizzando il concetto in modo certamente rozzo ma non improprio, si potrebbe dire che la scarsità di posti di terapia intensiva, dovuta a un taglio di finanziamenti pubblici dettata dalla scelta, o dal prevalente interesse, di investire in altri settori, è anch’esso un fattore socioeconomico che contribuisce alla gravità dell’epidemia. Norton nota che alla pandemia ( o sindemia?) da covid 19 si è finora reagito ricercando una cura farmacologica specifica della sars covid 2. In questo caso vanno ricompresi anche gli sforzi economici e l’impegno dei ricercatori per arrivare al tanto sospirato vaccino.
Dal punto di vista medico, sarebbe preferibile concentrarsi sulla prevenzione e sulla terapia delle malattie non trasmissibili ( tra l’altro molte, come il diabete o l’obesità derivano da scorrette abitudini alimentari) che costituiscono un fattore aggravante dell’epidemia, e potrebbero esserlo anche in futuro se si manifestassero nuovi analoghi virus molto contagiosi. Uguale miglior successo otterrebbero interventi mirati a ridurre le disuguaglianze socioeconomiche che amplificano gli effetti negativi di questa come di altre similari epidemie.
Aggiungiamo, di nostro, che proprio in considerazione degli importanti risvolti socioeconomici di una “sindemia”. bisognerebbe limitare al massimo e calibrare accuratamente il ricorso all’ altro rimedio messo in campo per contrastare il contagio da coronavirus, ovvero le drastiche limitazioni, foriere di crisi finanziarie e occupazionali, alle attività produttive e sociali (il c.d. lockdown) per contenere i contatti ravvicinati tra le persone, veicolo di trasmissione del virus.
L’abuso reiterato del lockdown, pur necessario nel breve periodo in caso di picco epidemico, può innescare un circolo vizioso, aggravando ed estendendo il disagio economico, a sua volta concausa degli effetti sfavorevoli dell’epidemia sulla popolazione.