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Nei mesi di luglio ed agosto riprendono le pubblicazioni della collana “Crimen” dedicata agli apocrifi di Sherlock Holmes. Disponibile in edicola il tredicesimo libro della serie: “Sherlock Holmes, Padre Brown e l’ombra di Dracula“ di Rino Casazza. Per l’occasione ecco la lettura da parte dell’autore dell’incipit (seconda parte) del romanzo, e una nota sul confronto tra Conan Doyle/Chesterton e Padre Brown/Sherlock Holmes, in base all’interessante giudizio critico che Antonio Gramsci ha lasciato sull’argomento nei suoi Quaderni dal Carcere.
TEORIA E PRATICA DI SHERLOCK HOLMES E PADRE BROWN
Nell’ ottobre del 2017, si è tenuta a Bologna un conferenza sull’interessante tema “Gramsci in giallo”. Partecipavano lo scrittore Carlo Lucarelli, l’italianista Daniele Chiara e il biblista Jean- Luois Ska.
Un anno dopo, è uscito il libro “Sherlock Holmes & Padre Brown. Note sul romanzo poliziesco” , Marietti Editore, che riprende gli interventi dei tre relatori e il relativo dibattito.
L’argomento mi riguarda da vicino.
Pare proprio che io sia il primo ad aver scritto due “apocrifi”, un racconto e un romanzo, in cui i summenzionati detective letterari sono contemporaneamente protagonisti.
In “Sherlock Holmes, Padre Brown e il delitto dell’indemoniata”, Algama, dicembre 2016, di cui è prevista nei prossimi mesi la pubblicazione in edicola nella collana Crimen di Teaserlab, i due, senza incontrarsi, indagano in parallelo sullo stesso caso; in “Sherlock Holmes, Padre Brown e l’ombra di Dracula“, Algama luglio 2017, in edicola nei mesi di luglio e agosto di quest’anno per la stessa collana, s’incontrano, si conoscono e collaborano a una indagine.
Entrambe le storie sono ambientate in Italia, a Bergamo, ai primi del novecento.
La scelta del luogo non è casuale. Bergamo è una culla del cattolicesimo, e lo era ancor di più negli ultimi anni “bella epoque”, prima della Grande Guerra.
Chesterton non racconta mai di una trasferta di Padre Brown in terra orobica.
Tuttavia , essendo il suo personaggio sacerdote “papista”, come vengono chiamati i preti cattolici in Gran Bretagna, non c’è dubbio che Bergamo rappresentasse una terra elettiva per lui.
A parte la lingua: il Padre conosceva solo il latino e l’inglese. Visto però che poteva avvalersi come interprete del suo amico e aiutante Flambeau, noto poliglotta, si può affermare che ai piedi di “Città Alta” si sia sentito a casa propria.
Molto di più che in Inghilterra dove, per la schiacciante predominanza della Chiesa Anglicana, era il classico straniero in casa propria.
A rovescio, una zona profondamente cattolica come il bergamasco per Sherlock Holmes rappresentava un luogo ostile, quantunque lo si possa immaginare discreto conoscitore della lingua di Dante nell’ambito dei suoi multiformi interessi.
Non risulta, nel “canone” holmesiano” (così gli appassionati di apocrifi chiamano l’insieme degli scritti narrativi dedicati ad Holmes dal suo creatore, Arthur Conan Doyle) un interesse religioso dell’investigatore londinese.
Sarebbe, per la verità, del tutto incongruo: Holmes è esponente del più schietto positivismo.
Di un positivismo, anzi, che si innesta nella tradizione “empirista” anglosassone.
Egli risolve casi polizieschi con una totale aderenza ai fatti, che sa collegare e interpretare con impareggiabile profondità di ragionamento.
In prima battuta le sue deduzioni risultano sorprendenti, e quasi divinatorie, anche alla sua inseparabile spalla, il medico John Watson.
Dopo che Holmes si degna di spiegarle, tutto diventa chiaro, lineare e indiscutibile. Persino ovvio, anche se Holmes non ha mai pronunciato nel “canone” la famosa frase “Elementare, caro Watson”.
Molti hanno eccepito, a ragione, che Holmes non deduce, bensì “abduce”, ovvero i suoi ragionamenti non portano all’unica verità possibile, ma solo a quella più probabile. Ci sembra un appunto cavilloso. Quel che conta è che Holmes risolva le indagini con la sicurezza di uno scienziato. E non sbagli mai.
E Padre Brown?
Gramsci, nei “Quaderni dal carcere”, aveva visto lontano. Il passo dei “Quaderni dal carcere” in cui si esprime sul metodo investigativo del Padre, contrapponendolo a quello di Holmes è stato al centro del citato incontro bolognese.
Ecco la citazione completa : “Il padre Brown è un cattolico che prende in giro il modo di pensare meccanico dei protestanti e il libro è fondamentalmente un’apologia della Chiesa Romana contro la Chiesa Anglicana. Sherlock Holmes è il poliziotto “protestante” che trova il bandolo di una matassa criminale partendo dall’esterno, basandosi sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull’induzione. Padre Brown è il prete cattolico, che attraverso le raffinate esperienze psicologiche date dalla confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur senza trascurare la scienza e l’esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e sull’introspezione, batte Sherlock Holmes in pieno, lo fa apparire un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l’angustia e la meschinità. D’altra parte Chesterton è grande artista, mentre Conan Doyle era un mediocre scrittore, anche se fatto baronetto per meriti letterari; perciò in Chesterton c’è un distacco stilistico tra il contenuto, l’intrigo poliziesco e la forma, quindi una sottile ironia verso la materia trattata che rende più gustosi i racconti.”
Un’opinione davvero acuta ed anticonformista.
Centra alla perfezione il “sale” dell’approccio investigativo di Padre Brown.
Il pretino dell’Essex creato dalla fantasia di Chesterton va oltre il metodo logico-deduttivo.
Non lo trascura, ed infatti ammira Holmes per la sapienza con cui sa usarlo, ma è altrettanto sensibile alla psicologia, con tutte le sue contraddizioni, delle persone coinvolte nell’indagine.
Facile, persino naturale per un prete abituato a penetrare nei segreti dell’animo umano attraverso l’esercizio della confessione.
Quella cattolica, fondata su un rapporto diretto, confidenziale, tra peccatore e confessore. Ben diversa da quella del credo anglicano, collettiva e ritualistica.
Nei due citati “apocrifi” mi sono proposto di rispettare e mettere a confronto il diverso approccio investigativo dei due personaggi.
Il modo più incisivo mi è sembrato porli alle prese con casi dal risvolto soprannaturale.
Un episodio di ( vera? presunta?) possessione diabolica con conseguente omicidio.
Una serie di delitti che sembrano (o sono?) opera di vampiri.
Di primo acchito, Padre Brown sembrerebbe essere aperto al soprannaturale, mentre Holmes lo dovrebbe rifiutare.
Le cose non sono così semplici.
Il Padre sa che i miracoli sono un’eccezione, e infinite le vie dell’ingannatrice malvagità umana.
Come dice ne “La maledizione della croce d’oro”: “Sono esattamente nella posizione dell’uomo che ha detto: ‘Posso credere all’impossibile, non all’improbabile.”
Holmes, fedele al principio d’esperienza, considera vero, qualunque cosa sia, tutto ciò che è sperimentabile.
Come dice ne “L’avventura del diadema di berilli” : “Eliminato ciò che è impossibile, quel che resta, per quanto improbabile, dev’essere la verità.”
Rino Casazza
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