Padri di famiglia, anonimi geometri di provincia, a volte pure suore: chi uccide i bambini ha spesso una doppia vita. Quando li prendono, tutti restano sgomenti.
Ci sarà un processo. Ci sarà la sua versione dei fatti. Ma per il procuratore generale di Brescia Pier Luigi Maria Dell’Osso «il caso è praticamente chiuso». Il dna, a meno di clamorosi errori di rilevazione, è una firma del delitto, specie se si tratta, come pare, di sangue. E quello trovato su Yara sarebbe «perfettamente coincidente». Dicono che l’assassino su Yara si è accanito con sevizie terribili, prima di lasciarla morire di freddo in un campo di Chignolo d’Isola.
IL MURATORE – Il fermato si chiama Massimo Giuseppe Bossetti, ha 44 anni, sposato, padre di tre figli. Il dna sugli slip di Yara Gambirasio, la famigerata traccia Ignoto1 inseguito dagli inquirenti per anni, è il suo. Arrestato come il presunto assassino, non ha voluto rispondere alle domande del pm, dicendosi sereno e negando ogni accusa. Ma il giallo di Brembate Sopra è ormai giunto ad una svolta. Si trascinava dal 26 novembre 2010, quando Yara, 13 anni, scomparve intorno alle 19, appena fuori dalla palestra di Brembate Sopra. Le ricerche non portarono a nulla. Le “celle” telefoniche e i cani molecolari portarono invece a Mapello, dove stavano costruendo un centro commerciale.
INSOSPETTABILE – Passano tre anni e mezzo e 18mila test genetici. Domenica 15 giugno le forze dell’ordine fermano con uno stratagemma Massimo Giuseppe Bossetti: la scusa è un test dell’etilometro. Il dna su Yara risulterà il suo. Lo arrestano lunedì in un cantiere a Seriate. Ed è il prototipo dell’insospettabile. Muratore, sposato, padre di tre bimbi, due femmine e un maschio, un profilo Facebook che ormai corrisponde ad una sorta di identikit elettronico dei propri utenti. Qui posta le foto delle figlie vestite da majorettes. E quelle dei suoi amatissimi animali: quattro cani, due gatti, un coniglio nano. A Mapello, dove abita oggi, la gente è sgomenta: lo descrive come un bravissimo uomo, molto religioso, protettivo con la famiglia. Niente bar, niente amici. Lo si vedeva soprattutto in chiesa, la domenica. In un’immagine Bossetti racconta la sua passione per il volo, con un rimorchio lungo lungo che dovrebbe contenere una sorta di ultraleggero: «Bellissima giornata oggi si vola… – commenta lui – alta quota mi aspetta e vai». Martedì qualcuno cancella dal suo profilo Facebook quasi tutte le foto e il diario. Al pm Bossetti non risponde, fuori dalla caserma gli gridano «assassino». La madre Ester avrebbe detto ad una vicina: «Poteva succedere a un nostro conoscente, invece è successo a noi. Se è stato lui, deve pagare». Oggi i tasselli del puzzle sembrano tornare a posto. Mapello è il luogo dove si diressero i cani molecolari. Bossetti è un muratore e sul corpo e nelle vie respiratorie di Yara c’era polvere di calce. Il 26 novembre 2010, alle 17.45 il suo telefonino agganciava le celle intorno a Brembate Sopra, da dove un’ora più tardi Yara sarebbe scomparsa. Ora sospettano esista un complice. Se davvero Bossetti è colpevole e se un complice esiste davvero, sarà insospettabile pure lui. Non sempre va così, ma quando li prendono, di solito, è sempre tardi.
IL DELITTO DEL PICCOLO PRINCE – Come negli Usa. Erano di ritorno a casa dopo aver comprato un gelato: Prince Joshua Avitto, sedici giorni più tardi avrebbe compiuto sei anni. Con lui Mikayla Capers, sette anni, stava uscendo dall’ascensore di un palazzo a New York, quando un uomo ha estratto un coltello e ha iniziato a menare fendenti. Prince è morto. Mikayla è riuscita a scappare, ma è rimasta gravemente ferita. Non c’è un movente, non c’è un perché. Neppure li conosceva. Secondo gli inquirenti l’assassino si chiama Daniel St. Hubert, incastrato dal dna su due coltelli, rilasciato una decina di giorni prima dopo cinque anni di galera per tentato omicidio e aggressione a mano armata. In passato aveva aggredito un poliziotto e un agente di custodia, aveva preso a pugni sua madre, tentando di strangolarla con il filo del telefono.
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Una scheggia impazzita, come Kabobo, il picconatore di Milano. Che però ha scelto come vittime due bimbi, in una ferocia se possibile ancora più vile di quella del ghanese. Eppure i casi di assassini di bambini sono moltissimi. Spesso seriali, troppo spesso fermati dopo che i delitti si sono ripetuti per anni, in silenzio.
IL SERIAL KILLER – In Italia, prima del delitto di Yara, i casi più eclatanti furono quelli compiuti dal mostro di Foligno, Luigi Chiatti, il geometra adottato che tra l’ottobre del 1992 e l’agosto del 1993 ammazzò Simone Allegretti, 4 anni, e Lorenzo Paolucci, di 13, prima di essere preso dopo una rocambolesca caccia all’uomo. Ma altrove, prima di essere fermati, colpiscono molto di più.
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IN PAKISTAN- Javed Iqbal Mughal, noto come “il Mostro Pakistano”, ad esempio, strangolò e seviziò almeno 74 bambini tra i 6 e i 16 anni – ma si pensa fossero decisamente di più- recuperandoli tra gli orfani e quelli abbandonati per strada dalle proprie famiglie. Lo scempio terminò nel 1999 e lui morì in carcere in circostanze mai chiarite: il suo corpo presentava segni di tortura.
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IL COMUNISTA CHE MANGIAVA I BAMBINI- Andrej Romanovič Čikatilo fu soprannominato il “comunista che mangiava i bambini”, perché era un insegnante del partito fedele alla causa, che, nella sua doppia vita, uccise almeno 53 persone tra donne e soprattutto bambini. Ci vollero dodici anni perché lo fermassero, nel 1990, e lo condannassero a morte.
LO SPIRITO MALIGNO – Ramadan Abdel Mansour, classe 1980, di bambini ne assassinò 32, in Egitto, muovendosi in treno tra Il Cairo e Alessandria. Quando lo fermarono, nel 2006, disse che era colpa del Jinn, uno spirito maligno di sesso femminile che lo possedeva.
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IL RE DEI TRAVESTIMENTI – Luis Alfredo Garavito Cubillos viveva invece in Colombia, imprendibile perché vagabondava di continuo, cambiava identità e si travestiva: da monaco, vagabondo, portatore di handicap. Quando lo fermarono nel 1999, era sospettato di aver rapito, stuprato, seviziato e decapitato almeno 140 bambini in cinque anni. Condannato a 852 anni di carcere, si sospettò infine che avesse colpito anche in Ecuador, facendo salire il contro delle vittime, quasi tutti maschi tra gli 8 e i 16 anni, a 300.
LA DONNA: JILL THE RIPPER – In questa impressionante galleria di mostri non mancano le donne. La prima e più feroce fu Amelia Elizabeth Dyer, detta anche Jill the Ripper, perché colpì a ridosso delle gesta di Jack lo Squartatore, sempre a Londra. Ma le vittime erano bimbi: impiccata per un solo delitto, fu sospettata di 400 omicidi.
LA SUORA – E per quanto sia datata la sua storia, il sistema per adescare i piccoli fu poi utilizzato da altre serial killer donne con la stessa perversione, come Alice Mitchell, suora australiana che agli inizi del ‘900 fu sospettata di aver ucciso a Perth non meno di 37 bimbi presi in affidamento e lasciati morire di fame e di sete: ma fu condannata per “negligenza” solo per un caso e condannata a 5 anni.
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LA STUFA – Un decennio più tardi Dagmar Johanne Amalie Overbye ne strangolò 25, prima di bruciarli nella stufa: pratica che usò sia per i bimbi affidati che per il proprio figlio.
IL CASTRATO – Jurgen Bartsh, in Germania, ammazzò cinque bimbi. Pur di uscire di galera accettò di farsi castrare, ma morì durante l’operazione: ancora oggi si sospetta che l’intossicazione da anestesia non fu un errore.
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IL VAMPIRO CHE AVEVA GLI INCUBI – Laerte Patrocinio Orpinelli colpì in epoca assai più recente: strangolò dieci bimbi tra i 3 e gli 11 anni tra San Paolo e Rio Claro, vampirizzandoli. Non lo presero mai: fu lui a consegnarsi nel 2000, perché, ultimamente, sostenne, aveva avuto degli incubi. Ma per trovare il più famigerato della lista dei mostri, bisogna tornare agli inizi del ‘900 negli Usa, proprio a New York, il luogo dove Daniel St. Hubert avrebbe ucciso il piccolo Prince Joshua Avitto.
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IL MALE – Fu qui che visse Albert Fish, alias il Vampiro di Brooklyn: reoconfesso di tre delitti, si vantò di averne torturati, ammazzati e mangiati più di cento.
Manuel Montero