Il viceprimario dell’ospedale di Saronno condannato per 12 dei 15 omicidi di cui era accusato. Assolto per il delitto della madre dell’amante Laura Taroni
Avevano descritto il pronto soccorso di Saronno come un luogo dell’orrore. E tale fu, almeno secondo i giudici della Corte d’Assise di Busto Arsizio, quando di turno c’era l’aiuto primario Leonardo Cazzaniga: i giudici l’hanno condannato all’ergastolo per dodici omicidi su quindici per i quali era imputato. Quasi tutti pazienti in corsia, cui il medico applicava l’ormai famigerato “protocollo Cazzaniga”, somministrando farmaci in sovradosaggio fino ad essere letali.
All’indomani dell’arresto vennero i brividi leggendo alcune frasi che gli furono attribuite all’atto di mettere in pratica la sua speciale terapia finale: «Con questo paziente dispiego le mie ali dell’angelo della morte». Parole di uno che si sentiva un dio. Cazzaniga si è difeso in aula senza negare l’uso massiccio di farmaci, ma sostenendo di averlo fatto solo con pazienti in fin di vita che necessitavano di cure palliative, perché si sarebbe trattato dell’approccio «del medico dell’urgenza con un paziente al limite della sua esistenza e che ritengo quello moralmente corretto».
Condannati per omessa denuncia e favoreggiamento personale a 2 anni e 6 mesi anche i medici della commissione nominata dall’ospedale per verificarne l’operato: l’ex direttore generale dell’ospedale Paolo Valentini, l’ex direttore sanitario Roberto Cosentina, l’ex direttore del Pronto Soccorso Nicola Scoppetta e il medico legale Maria Luisa Pennuto. Cazzaniga doveva anche rispondere in concorso dei delitti di marito, madre e suocero della sua amante Laura Taroni, l’infermiera killer già condannata a 30 anni. Ma in questo caso, l’ex primario è stato assolto, per non avere commesso il fatto, per l’omicidio della madre della donna, Maria Rita Clerici.
Gabriella Guerra, sorella di Massimo ovvero del marito di Laura Taroni, ha detto ai cronisti: «Non sono sollevata, la condanna non può lenire il nostro dolore, il modo in cui questi eventi ci hanno travolto, soprattutto i miei nipoti» e cioè i figli dell’infermiera e del marito ucciso, devastati da un destino terribile. Prima che la Corte si ritirasse,
Cazzaniga ha dedicato un pensiero a Stefano Binda, il giovane condannato all’ergastolo in primo grado e successivamente assolto in appello per l’omicidio di Lidia Macchi, avvenuto nel lontano 1987, e di cui è stato compagno di cella: «Ciò che gratuitamente mi ha donato è impareggiabile, incommensurabile e ancora impagabile. Sono oltremodo felice per il riconoscimento (e la conseguente libertà) di ciò che risplendeva nel cielo delle verità eterne: la sua totale, assoluta innocenza. Per me, ateo, è stato il Cristo che ho avuto l’onore di “vivere“ nella sua più pura rappresentazione». Ma la storia del medico pare radicalmente diversa da quella di Binda.