Il romanzo di Davide Pappalardo “Milano pastis”, edito da Excalibur edizioni, merita di essere ascritto alla narrativa storica tout court, nonostante abbia come argomento un clamorosa rapina avvenuta in pieno centro di Milano, nella via più chic, negli anni 60. Del resto, nessuno si sognerebbe di qualificare come noir “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni benché narri delle molestie e del rapimento di una giovane popolana ad opera di un prepotente aristocratico straniero.Visto che abbiamo scomodato questo paragone, certo ardito ma non improprio, continuiamo a servircene.Come nel romanzo di Manzoni, e come del resto nella narrativa storica che si rispetti (secondo don Lisander doveva avere ” il vero per oggetto, il bello per mezzo e l’utile per iscopo”), viene proposto un quadro preciso e documentato del seicento in Italia sotto la dominazione spagnola, collocandovi dentro la vicenda inventata, ma verosimile e plausibile, della prevaricazione di un signorotto ispanico verso una coppia di nubendi locali di umili origini, così Pappalardo ci propone antefatti, svolgimento e immediato seguito della rapina a una gioielleria di Via Napoleone nel capoluogo lombardo nel 1964. Fin dove ci sono certezze storiche e cronachistiche, Pappalardo si limita a riportare quanto acclarato; per il resto, e mi riferisco in particolare alla caratterizzazione e alle vicessitudini dei personaggi implicati, guardie e ladri, lo scrittore siciliano, già noto per due prove narrative ambientate negli anni 70, “Buonasera signorina”, Edizioni Eclissi, e “Che fine ha fatto Sandra Poggi?”, Pendragon, fa lavorare l’inventiva, peraltro ancorata a sicure conoscenze sulla storia sociale e sulla cronaca nera di quel periodo.In questa prospettiva, non lascia più di tanto stupiti che il romanzo ipotizzi una manipolazione a fini politici dell’evento criminale, in una inquietante anticipazione delle sotterranee trame e dei depistaggi che avrebbero caratterizzato gli anni di piombo di là da venire.Il punto forte di Milano Pastis, oltre al taglio da romanzo storico “ortodosso”, in cui la fantasia è al servizio della verità obiettiva, sta nella galleria di personaggi della mala italiana e francese che ci mette davanti, scandagliati con cura e umanità. Proprio per questo, ci piacerebbe che la penna dell’autore, in futuro, ci illustrasse che fine hanno fatto costoro i classici “vent’anni dopo”.Da ultimo un accenno al titolo, non casuale, di questa recensione: la rapina ( o “rapa” come ho imparato si dice nel gergo malavitoso) di Via Montenapoleone nel 1964 è da intendersi annunciata sotto due profili: perché nei preliminari narrati nel romanzo viene vissuta dai membri della banda che la poi la eseguì come un obiettivo lungamente accarezzato, foriero di timori ma anche di grandi aspettative; e perché per l’intrigo che, probabilmente, vi stava dietro era un avvenimento prevedibile, se non addirittura nell’aria, come le successive, tragiche stragi della strategia della tensione.
Rino Casazza