Chi l’ha visto di recente, ecco sostiene che mister Max Allegri, dopo il divorzio (allora: il presidente Andrea Agnelli lo avrebbe confermato, lui sarebbe restato a determinate garanzie, ma Paratici, Nedved e Ronaldo, beh… alla fine l’hanno salutato, ndr) dalla Vecchia Signora appaia più sereno, tranquillo, sollevato, che vincere sempre in Italia, tra le critiche e l’indifferenza e perdere, criticato, in Europa, alla lunga snerva, no?
Il tecnico livornese nei suoi cinque anni a Torino, vincendo, mah… probabilmente avrà cappellato 4 o 5 partite, ma quasi tutte decisive. Un’altra pecca? In Champions League spesso la sua Juve si è dimenticata, letteralmente di giocare, mentre in Italia, in mezzo al nulla, pur giochicchiando l’ha sempre sfangata. Il grande rimpianto Allegriano? La finalissima di Berlino persa a favore del Barcellona, ironia della sorte: lui sempre accusato di far giocar male la squadra, esibendo un bel football. Ma la ricerca della Grande Bellezza Bianconera (intendiamoci con la complicità della società) si è poi persa e fermata in quella finalissima maledetta, finale riacciuffata comunque due anni dopo a Cardiff, allorquando il Real Madrid sbranò gli Allegri Boys. E … proprio in quella notte gallese, il ciclo juventino votato all’Allegrismo vincente, ma malinconico e lento, forse si consumò del tutto.
Detto questo, Chapeau a Massimiliano Allegri e al suo irripetibile quinquennio alla corte di Andrea Agnelli, con la consapevolezza che chi arriverà (Sarri è il favorito tra l’opzione Simone Inzaghi, il sogno Guardiola, la possibilità Mhiajlovic e la suggestione Pochettino, ndr), inevitabilmente col pesante predecessore toscano qualche conto sarà costretto a farselo. Ma se in panca giungerà Guardiola… ohibò il Guardiolismo, sul Sarrismo e sul fu Allegrismo, sulla carta dovrebbe tenere, no?
Stefano Mauri