Mostro di Firenze, sul numero di Cronaca Vera di questa settimana, una mia intervista sul fantathriller “Al Tempo del Mostro”, che ripropone il più famoso ed enigmatico caso della cronaca italiana da un’angolazione inedita…
Mostro di Firenze, sul numero di Cronaca Vera di questa settimana, una mia intervista sul fantathriller “Al Tempo del Mostro”, che ripropone il più famoso ed enigmatico caso della cronaca italiana da un’angolazione inedita.
Ma non del tutto nuova: il romanzo infatti prende spunto da un retroscena vero, anche se poco conosciuto, risalente al settembre del 1985, quando gli inquirenti, dopo il “delitto degli Scopeti”, decisero di intraprendere una strada nuova nelle indagini sul “serial killer delle coppiette”.
Di seguito un breve estratto:
“Lorenzo e l’amico avevano deciso di mantenere il riserbo anche sul nuovo esperimento. Che ci si trovasse di fronte a un “buco di verme”, l’avevano tenuto per loro, in attesa di una più certa conferma sperimentale. Tutti pensavano che avessero apportato le opportune correzioni per produrre e osservare un “tiny black hole”. Per questo, volevano svolgere la prova da soli, senza l’aiuto dello staff del laboratorio, di cui in effetti non avevano bisogno.
La data prescelta era la tarda sera del 18 maggio. Lorenzo avrebbe voluto sentirsi eccitato quanto Chitta, ma le secche in cui si era arenata la “trappola matematica glielo impedivano. Il 17, un venerdì, avevano deciso di svagarsi dedicandosi a visitare le Terme di Caracalla, assieme a Veronica. Lorenzo, appena aveva avvistato un’edicola, insensibile al fascino dell’Urbe primaverile, era andato ad acquistare la Nazione.
Chitta e Veronica s’erano scambiati uno sguardo ironico. In quei giorni, erano attese notizie riguardo alle analisi sullo straccio sospetto trovato nella perquisizione in casa dell’ennesimo “aspirante Mostro”, Salvatore Vinci. Era passato tutto quel tempo per un disguido burocratico: il verbale di sequestro era stato trasmesso al magistrato sbagliato, il Pubblico Ministero e non il Giudice Istruttore, ritardando tutta la procedura. Quello che Lorenzo legge sembra l’emblema di tutta l’inchiesta, caratterizzata da approssimazione, se non addirittura da incuria dilettantesca.
Gli esperti avevano stabilito che le macchie rosse sul reperto erano ematiche, di due gruppi sanguigni diversi, B e 0, e che le tracce grigie erano prodotto della combustione di polvere da sparo. I medici legali che avevano esaminato i corpi martoriati di Pia Rontini e Claudio Stefanacci avevano stilato un rapporto meticoloso, con dottissime dissertazioni sulla traiettoria dei proiettili e i loro effetti. Eguale puntiglio avevano mostrato nel ricostruire la successione e i danni inferti dai colpi di pugnale.
Peccato che, consegnata la perizia necroscopica, avevano ritenuto esaurito il loro compito, senza preoccuparsi di trattenere, adeguatamente conservati, reperti biologici dei cadaveri. Ora, nessun confronto certo e legalmente valido è più possibile. Mentre Veronica, col solito divertito fatalismo, ascolta Lorenzo scagliarsi contro gli inquirenti, Chitta rimane serio. Incomincia a comprendere l’ossessione del suo amico. Forse ha ragione lui a ritenere la “trappola matematica” l’unico modo per venire a capo di quell’indagine.
Comunque, la posizione di Salvatore Vinci si sta alleggerendo in modo decisivo. Quello straccio può esser servito a usi diversi che per ripulire le tracce dell’assassinio dei due giovani di Vicchio. Ancora una volta la “pista sarda” si rivela un vicolo cieco.
Rino Casazza