Ero (o sono?) amico di Andrea G. Pinketts dal 1995. L’ho incontrato la prima volta ai “seminari per giallo e bar” che teneva, insieme ad Andrea Carlo Cappi, nella “cripta” del Boulevard Café di Corso di Porta Garibaldi.
A conferma che Andrea aveva una personalità complessa, ebbi di lui, fin da subito, due immagini diverse.
Prima dell’inizio dell’evento, potei osservarlo mentre, a un tavolo vicino, parlava con amichevole disponibilità con un amico, che poteva essere anche qualcuno conosciuto al momento. Di fronte a una birra media ( poi divenuto misura universale, nei bar da lui frequentati: ” una pinketts di birra, grazie!”) parlava dell’incipit del suo romanzo di allora, “Il senso della frase”.
Si’ : ho avuto il privilegio di sentire esposto dal vocione di Andrea il suo famoso credo stilistico.
Andrea non si stava esibendo. Soddisfaceva in privato, appassionatamente, la curiosità dell’interlocutore, condividendo il leit-motiv di quella che sarebbe rimasta la sua opera prediletta, o comunque più emblematica.
Poi ci fu l’esibizione istrionica , che avrei rivisto molte altre volte: lo squillo di tromba da parte del gestore del locale, la ” presentazione del presentatore” da parte di Andrea Carlo Cappi, l’arrivo di Andrea, il “fragorso” applauso seguito da un minuto di “religioso” silenzio, e via a introdurre l’argomento della serata, con la sua oratoria brillante, piena di funambolismi verbali ( gli stessi che impreziosiscono i suoi libri) e osservazioni profonde, che ti tornavano alla mente dopo, facendoti riflettere.
Non posso dire di aver avuto una frequentazione assidua con Andrea, anche se mi sarebbe piaciuto. Abitando in città diverse e, soprattutto, facendo vite assai diverse, non è stato possibile.
Ma ci sono state numerose occasioni conviviali comuni e, soprattutto, alcuni momenti in cui ci siamo ritrovati da soli, a tu per tu, abbastanza a lungo per poter approfondire la reciproca conoscenza.
Delle occasioni conviviali mi piace ricordare le presentazioni al “Caffè letterario” di Bergamo, dove impiegò un attimo a diventare un idolo per la raffinata intelligenza argomentativa e la travolgente verve nelle affollate bicchierate post incontro letterario.
Lo ricordano ancora con grande affetto ( adesso purtroppo con rimpianto…) a Sarzana, la mia città natale, dove per tre volte è venuto a presentare miei romanzi alla locale fiera del libro, rimanendo nella memoria dei concittadini per l’infinità di Cuba libre e birre medie che riusciva a ingurgitare senza perdere lucidità mentale e freschezza di eloquio. Anche al di fuori dello stretto spazio della presentazione, tant’è che partecipava con entusiasmo e disinvolta competenza alle iniziative che venivano dopo, fino a tarda notte.
Sono sempre crollato prima io, anche perché Andrea, come mi confessò una volta, dormiva poco di natura.
Ecco: qui si innesta il ricordo più intimo, riguardante l’ultima puntata sarzanese di Andrea, nel 2014.
Abbiamo fatto il viaggio in macchina, io alla guida, e ho potuto sperimentare, come già in un precedente viaggio in treno, il lato più personale di Andrea, quello che potremmo chiamare l’altra faccia del personaggio pubblico. Non che Andrea nel privato fosse un’altra cosa rispetto a come appariva nelle presenze televisive o più in generale mondano-letterarie.
Si intuiva già che, in quelle circostanze, adattava al canale di comunicazione la sua natura di uomo vorace di verità, inesaustamente teso ad una conoscenza autentica, anticonformista, della realtà.
Anche il suo linguaggio letterario continuamente spiazzante, che tiene sempre sul chi vive il lettore, è una ricerca, forse sconfitta ma sincera, del senso ultimo della vita.
L’Andrea mio compagno di viaggio, tra fermate agli Autogrill per ristorarci con l’immancabile “pinketts” di birra, si è confermato una persona di non comune sensibilità e delicatezza, con cui veniva spontaneo confidarsi perché sapeva trovare parole non banali su qualsiasi argomento.
Erano pregnanti anche i suoi silenzi: lui, in questo simile a me, di tanto in tanto si estraniava, perdendosi in riflessioni che ho sempre pensato andassero al cuore dei problemi dell’esistenza.
“Di notte spesso” mi confidò “rimango disteso sul letto, sveglio, a pensare con lo sguardo al soffitto… ”
Il frutto di queste meditazioni è confluito in massima parte, e dobbiamo rallegrarcene, nei suoi libri, che finalmente potranno essere rivalutati al di là dell’equivoco del genere ( “essere considerato giallista non mi soddisfa” amava dire “meglio autore di noir, meglio ancora scrittore e basta”) e dell’originalità del “personaggio”.
Mi piace pensare che, con la scomparsa di Andrea inizi per lui una seconda vita di grande scrittore e basta, come merita.
Rino Casazza