Algama riporta in ebook L’Illusionista, l’ultimo thriller di Edoardo Montolli in cui una leggenda della malavita diventava realtà, tra inquietanti giochi di prestigio sulla pelle della gente. Fronte del Blog ve ne anticipa un capitolo
QUELLO STRANO CASO A PORTO AZZURRO
Cesarino Soprani. Proprio uno che viveva ancora in uno stato primitivo. E non lo mascherava. Non aveva paura di considerare un bene ciò che per la legge era male: anzi, lui che non conosceva Hobbes, rappresentava probabilmente l’incarnazione stessa dell’istinto di sopravvivenza.
Grondava aneddoti in materia che nessun altro avrebbe potuto discernere a fondo.
Come quella storia che gli aveva spifferato in mattinata, una delle tante che amava raccontare in ufficio un’ora prima della fine della giornata, sprofondato in una sedia simile a un trono. L’aveva narrata con tono sacrale, nemmeno fosse una parabola. Non sapeva se fosse vera. Di certo aleggiava da lustri tra le voci soffocate di radiocarcere. Parlava di un uomo condannato all’ergastolo a Porto Azzurro, quando ancora l’ergastolo era «fine pena mai». Niente sconti, niente benefici, niente di niente.
Aspirò forte. E fu come vedersi la scena proiettata in un film sul soffitto, appena velata dalla coltre di fumo: l’uomo si chiamava Vincenzo. Del cognome non c’era bisogno. Marciva in cella da sei anni. Ogni due settimane la moglie andava pazientemente a trovarlo con la nave. Freddo, pioggia, neve, non importava. Sempre in ordine, addirittura più composta ed elegante di quando stavano a casa insieme. Arrivava puntuale a portargli vivande, dolci, abiti. E soprattutto amore.
Alla fine dei colloqui, a stento trattenevano le lacrime.
Vincenzo, si raccomandava per il bambino: «Perdonami, digli che l’amo».
Le ripartenze erano strazianti per chiunque. Anche il più famigerato dei duri non poteva non avvertire un nodo alla gola, il senso di colpa per quelle mogli, capaci di sacrificare l’intera vita pur di stare vicine a un uomo che non poteva essere mai più accanto a loro, e condannato per i delitti più atroci. Donne che dignitosamente pregavano secondini irremovibili di restare lì altri cinque minuti, mentre i mariti, muti, tenevano dentro il dolore per non dare soddisfazione alle guardie.
A Johnny parve di sentirli addirittura, i sussurri e le preghiere.
Il mondo a Porto Azzurro era immutabile. Concluso. Anticamera della morte senza possibilità di tornare oltre la soglia.
«Ma questo accadeva per chi stava dentro. Perché fuori, invece, il mondo cambia» diceva Cesarino.
Vincenzo non lo sapeva.
O forse non voleva saperlo. Sapeva però che dentro, a Porto Azzurro, qualcuno aveva fatto arrivare di nascosto dei binocoli. Per godere, dalle sbarre delle finestre, dello sguardo dei propri cari fino alla fine, accompagnarli oltre l’orizzonte, quando la nave, allontanandosi dall’Elba, si portava via il calore e l’amore. Il giorno del compleanno della moglie, la signora Rosa, Vincenzo ne chiese uno in prestito, in cambio di cinque sigarette. Per sei mesi aveva lavorato sodo, costruendo tre splendide statuine in mollica da portare a casa, che rappresentavano la sua famiglia. Appena le vide, Rosa scoppiò a piangere, commuovendolo ma anche agitandolo nell’orgoglio: «Ti amo, ti amerò sempre».
Vincenzo sentì che ancora valeva qualcosa, capì di essere in grado di colpirla al cuore. E quando arrivò il momento ineluttabile del secondino, pronto a dividerli di nuovo, non smise stavolta di mandarle baci, ripetendo la raccomandazione per il bambino: «Perdonami, digli che l’amo».
Rosa indietreggiò per non perdersi nemmeno un attimo e, poco prima che le chiudessero la porta in faccia, glielo gridò: «Pensami sempre… finché c’è vita c’è speranza. Ti amo, ti amo tanto anch’io».
Vincenzo corse in cella per vederla dalla finestra mentre partiva. Puntò ansiosamente il binocolo, sperando che la nave non fosse piena e che non gli sfuggisse. E, passato qualche minuto, la vide sbucare sul ponte.
Si rilassò. Riusciva a inquadrarla perfettamente, pareva a venti metri dalla finestra. La salutò con la mano, urlò, ma lei non poteva accorgersene. Vincenzo pianse. Senza vergognarsi di fronte agli
altri detenuti. Un pianto liberatorio dopo anni di sopportazione silenziosa. Pianse gioia e malinconia.
La nave uscì dal molo, e tutti andarono a prendere posto.
Anche Rosa si spostò e sparì in mezzo alla folla. Vincenzo ruotò il binocolo e cercò. E riuscì a ritrovarla ancora. In un angolo del ponte. Ma qualcosa stonò. Lo notò dalle mani di Rosa, che gli parvero appoggiate su quelle di un’altra persona.
Girò le lenti. E vide che erano le mani di un uomo. Forse era il binocolo. Forse la distanza. Il cuore cominciò a battergli forte. Sicuramente si stava sbagliando, sicuramente la distanza lo stava ingannando.
Vide l’uomo accarezzarle i capelli, abbracciarla. E baciarla.
Per un momento tentò di mettere a fuoco meglio, illudendosi che il groviglio dei due corpi fosse un’allucinazione, la luce del sole. Ma poi capì. La nave scomparve, e lui non si mosse. Rimase lì per più di un’ora.
«Lo trovarono impiccato la mattina successiva» le parole di Cesarino rimbombavano ancora nelle sue orecchie. «Vincenzo era uno che aveva strangolato tre persone. Ma a differenza di tanti altri che fingevano di non sapere la sorte dei propri famigliari, non era mai stato capace di cambiare e di adeguarsi. A differenza di sua moglie, che doveva pure sopravvivere in qualche modo».
La morale della parabola di Cesarino stava nell’enorme spessore etico della signora Rosa. Una donna che anche se stava chissà da quanto insieme a un altro, aveva deciso di non spezzare il calvario della visita al marito ogni due settimane, recitando la parte della moglie fedele solo per non regalare
una sofferenza in più ad un uomo che non sarebbe mai uscito vivo dalle sbarre.
«Perché vedi, lì dentro, il male e il bene erano diversi da come li intendiamo. Ciò che era male fuori, a Porto Azzurro diventava bene. E ciò che era bene fuori, a Porto Azzurro diventava male. Questo bisogna che si dica. Che il male e il bene, sono concetti relativi quando devi sopravvivere. Ma ora dimmi, Johnny, tu cosa avresti fatto al posto di Vincenzo?»
Il film sul soffitto si spense.
(Tratto da L’Illusionista, di Edoardo Montolli)
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L’AUTORE
Edoardo Montolli è autore di diversi libri inchiesta. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio (con Felice Manti, Aliberti 2008) e L’enigma di Erba (Rcs Periodici 2010). Ne Il caso Genchi(Aliberti 2009) ha raccontato i retroscena di numerose vicende politiche e giudiziarie degli ultimi trent’anni. Il suo ultimo volume è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018), basato sulle agende del giudice Giovanni Falcone. Scrive di crimini per vari giornali e di attualità per il settimanale Oggi. Oltre a L’Illusionista, ha pubblicato i thriller Il Boia (Hobby & Work 2005) e La ferocia del coniglio(Hobby & Work 2007), tutti ora riproposti in ebook da Algama. Il suo sito è frontedelblog.it
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