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La condanna in terzo grado di Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio non convince ed è ancora ribaltabile

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Sono intervento più volte sul processo a carico del muratore bergamasco  Massimo Bossetti con l’accusa di aver assassinato la sua giovanissima e compianta conterranea Yara Gambirasio.

Vedi a tal riguardo:

Il caso di Yara Gambirasio: il D.NA.  e la “pistola fumante”

Yara Gambirasio: l’errore investigativo americano che potrebbe riaprire il caso.

La leggenda del mostro muratore

La condanna di Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio: la logica e la giustizia

Ieri la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Bossetti all’ergastolo, pronunciata nei due precedenti gradi di giudizio.

Non ho particolare simpatia per Bossetti, e non nascondo che la nascita di un vero e proprio movimento d’opinione teso a “santificarlo” come vittima della cattiva giustizia mi ha infastidito.

Non è da escludere che ciò abbia finito per nuocergli, suscitando una reazione uguale e contraria in difesa della presunta bravura degli organi inquirenti nel venire a capo di un’indagine con metodi investigativi d’avanguardia.

Chiarisco, inoltre, di condividere il desiderio di giustizia per  la vittima, atrocemente e immaturamente scomparsa, e per la sua famiglia, colpita da un lutto terribile.

Debbo tuttavia confermare l’opinione già espressa:  Massimo Bossetti non va condannato.

Le sentenze che l’hanno fatto si fondano sulla presunta incontestabilità di una prova scientifica, ovvero la scoperta di una traccia genetica dell’imputato sugli indumenti della sventurata ragazzina.

Anche a voler considerare tecnicamente ineccepibile  ( e ci sono forti dubbi al riguardo) il procedimento attraverso cui si è giunti ad isolare questa traccia,  rimane che si tratta di un INDIZIO, che dimostra UNICAMENTE un contatto tra cellule del  corpo di Bossetti e quello della vittima.

Null’altro.

Durante il processo non si è perventi ad alcuna certezza su come questo contatto sia avvenuto.

La dimostrazione , con prove inconfutabili, o quantomeno attraverso altri indizi “gravi, precisi e concordanti”( come prescrive la legge) che quell’impronta genetica stia lì perché Bossetti è l’assassino della sventurata fanciulla, manca.

Tutto, anzi, indica il contrario.

Bossetti è privo di un movente, e non è nemmeno uno psicopatico con tendenze omicide verso giovani fanciulle.

Non aveva alcun tipo di rapporto con la vittima, e senza un avviso da parte di questa non avrebbe potuto trovarsi sul luogo dell’omicidio in tempo per commetterlo.

Non ci sono testimoni, né altri riscontri oggettivi che si sia trovato lì per caso.

Comunque, la sentenza di ieri non ha scritto l’ultima parola.

Alla difesa di Bossetti rimane da giocare la carta di un ricorso alla Corte Europea di Giustizia, le cui sentenze, come  ha sancito la Corte Costituzionale Italiana, possono valere come presupposto per la revisone del processo.
È assai probabile , conoscendone la giurisprudenza, che la Corte Europea accoglierà il ricorso per violazione del diritto di difesa.

Pesa infatti sul processo a Bossetti un grave vizio di legittimità .

La tracciatura dell’impronta genetica dell’imputato sugli abiti della vittima è avvenuta prima che fosse formalizzata l’imputazione a  Bossetti.

Tale esame non era irripetibile, tant’è vero che è stata ripetuto piu volte, come dichiarato dagli inquirenti.

È  risaputo che uno dei cardini del diritto di difesa, riconosciuto dalla Corte Europea,  è  la cosiddetta “facolta di controanalisi” , ovvero la possibilità di chiedere la ripetizione in contraddittorio, in presenza di esperti di fiducia dell’imputato, di esami tecnico-specialistici il cui esito si vuol portare a fondamento del giudicato.

I difensori di Bossetti l’hanno richiesta, invano, ai tribunali di tutti i gradi di giudizio.

Il motivo del diniego starebbe nella mancanza di una quantità sufficiente di materiale organico, già tutto consumato, come si è detto, per i ripetuti test nella fase dell’inchiesta precedente all’arresto di Bossetti.

Appare chiaro che consentire, all’occorrenza, una replica in contraddittorio dell’esame da parte di un imputato successivamente identificato era doveroso per la piena regolarità del processo.

Rino Casazza

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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