Le rivelazioni del capo della banda della Magliana alla giornalista Raffaella Fanelli ne “La verità del Freddo” (Chiarelettere), con un video inedito e la testimonianza della cronista al settimanale Cronaca Vera, in edicola dal 28 agosto.
Gigi Montero per Cronaca Vera
Raffaella Fanelli è autrice di diversi scoop sul mondo del crimine. Questa volta, per il suo nuovo libro “La verità del Freddo”, edito da Chiarelettere, la scrittrice e giornalista investigativa ha incontrato Maurizio Abbatino, uno dei boss della banda della Magliana, scoprendo fatti scioccanti.
«La storia della banda della Magliana non si è chiusa», ci racconta.
«Mafia Capitale ne è la prova: Massimo Carminati e il suo “mondo di sotto” sono una sorta di seconda parte di un passato rimasto irrisolto e in sospeso. Per sciogliere gli enigmi della banda della Magliana si deve tornare nei sotterranei del Ministero della Sanità, dove erano nascoste le armi della banda».
Maurizio Abbatino, il Freddo di “Romanzo criminale”, svela alla giornalista dettagli inediti sulla storia di quel gruppo.
Particolari inediti
«Avevamo informatori ovunque» spiega il bandito. «Sul nostro libro paga c’erano questori e uomini della Digos, eppure nessuno ci disse di quella perquisizione al Ministero. È chiaro che qualcuno portò le guardie al nostro arsenale. In quei sotterranei furono trovate armi che non dovevano esserci, inclusa una pistola rubata dai Nar a un’armeria di Roma e dei candelotti fumogeni candelotti fumogeni a cui era molto interessato Domenico Sica. Quando mi interrogò, il magistrato mi disse che quei fumogeni erano dello stesso lotto di quelli ritrovati vicino al cadavere di Antonio Varisco».
Il colonnello Antonio Varisco si occupò dello scandalo Lockheed, delle indagini sul gruppo eversivo Rosa dei Venti, dello scandalo Italcasse e del sequestro Moro, inchieste tutte seguite da Mino Pecorelli, direttore del settimanale “Op, Osservatore Politico”, iscritto alla loggia P2, uomo pieno di nemici e segreti, assassinato con quattro colpi di pistola calibro 7.65 a Roma, la sera del 20 marzo 1979.
Raffaella Fanelli, autrice anche di “Estreme Conseguenze”, la redazione da William Beccaro che sarà online da settembre, ha raccolto particolari inediti anche su un celebre delitto irrisolto.
Nuove perizie
«Abbatino mi ha parlato dell’omicidio del giornalista Pecorelli, confermando tutte le sue accuse a Massimo Carminati, nonostante le sentenze di assoluzione. Le stesse accuse arrivarono da Tommaso Buscetta che indicò in Giulio Andreotti il mandante. Eppure Carminati e il suo illustre coimputato furono assolti. Antonio Varisco, molto amico di Pecorelli, dopo l’omicidio del giornalista rassegnò le dimissioni dall’Arma dei carabinieri, a soli 52 anni, e il 13 luglio 1979, due settimane prima della fine del suo mandato, gli spararono quattro colpi con due fucili a canne mozze. L’omicidio fu commesso da Antonio Savasta e Rita Algranati, dei brigatisti della colonna romana, alcuni pure implicati nel caso Moro, quindi personaggi della sinistra. Nessuno si è mai chiesto come sia stato possibile per dei brigatisti rossi usare i candelotti fumogeni provenienti dal deposito della banda, da un deposito dove furono anche trovate armi dei Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, di estrema destra. Strano. Come strane sono state le indagini. Maurizio Abbatino si è detto certo che i fumogeni furono portati da Danilo Abbruciati, ha ricordato i contatti del boss con un uomo dei servizi finito nell’inchiesta sulla morte del giornalista Pecorelli. Dopo l’arresto di Abbatino e la sua decisione di collaborare, i magistrati chiesero nuove perizie sulle armi sequestrate nei sotterranei del ministero della Sanità. I sigilli, però, erano stati tolti e le armi manomesse».
In che senso manomesse?
«Dentro le canne era stato versato dell’acido e questo rese impossibile le perizie. Da questo inquietante episodio sono partite le mie ricerche. Da quelle armi e da quell’arsenale sono arrivata all’omicidio di Varisco e a una nuova fonte sull’omicidio di Mino Pecorelli di cui, per ovvie ragioni, non riporto il nome. Un personaggio molto attendibile, all’epoca inserito negli ambienti della destra eversiva, mi ha riferito, e nel libro lo riporto, che Carminati avrebbe affidato la pistola usata per l’omicidio a un suo amico».
Abbatino che cosa ha detto di quella pistola?
«Nel deposito della banda la pistola che uccise Pecorelli non c’è mai entrata. Abbatino si dice certo di questo».
Perché ha deciso di scrivere “La verità del Freddo”?
«È stato Abbatino a chiedermelo. Ho cercato di sapere il più possibile, con domande spesso sfacciate, mai concordate o patteggiate, per arrivare a una verità che è stata in gran parte confermata da ricerche e verbali, da atti e nuove testimonianze. Il libro si avvale anche dell’importante testimonianza del giudice Otello Lupacchini, il magistrato che per primo raccolse la testimonianza di Abbatino smantellando, grazie alle sue dichiarazioni, la banda della Magliana. “La verità del Freddo” è il libro testamento di un collaboratore di giustizia che lo Stato ha estromesso dal programma di protezione nel settembre 2015, quando a Roma è partita Mafia Capitale, una coincidenza inquietante. Lo Stato non ha mantenuto i patti presi con Abbatino, mentre lo ha fatto con i killer di Capaci che pure non hanno detto la verità. Ma questa è un’altra storia».
Gigi Montero