In questo articolo non mi dilungherò, visto che sarà un’analisi approfondita del mio primo romanzo “Le mani addosso”. Ancora? Qualcuno dirà.( Probabilmente a chi l’ha lasciato a metà o non è piaciuto) Ma per gli altri è bello, e fortunatamente sono molti, capire che sebbene scritto dieci anni fa, ancora rinasce in nuovi sorprendenti lettori. E’ il caso di Gianluca Piretti, caro amico ed attore. E’ riuscito ad entrare nel mio mondo e ha saputo cogliere appieno le sfaccettature del romanzo, dei miei film, ma sopratutto di me. Per questo lo ringrazio. Per le parole vere e sincere. ( Mi ha chiesto lui di poterlo scrivere.) Buona lettura e grazie Gianluca.
Una piacevole sorpresa: le mani di Alborghetti.
Ho sempre stimato la fantasia del mio amico regista Massimo Alborghetti; i soggetti e le sceneggiature dei suoi film hanno sempre mostrato un notevole spessore e una fervida immaginazione, rappresentando storie complesse, con intrecci sorprendenti, personaggi profondi e poetici immersi in una quotidianità che può nascondere, tra le pieghe della normalità, assurdi e sconvolgenti episodi, al limite della patologia da assassini.
Che Massimo fosse un maestro delle sceneggiature da psico-thriller lo sapevo bene, ma che fosse anche uno (grande) scrittore, questo, almeno, mi mancava.
Così, quando una sera mi ha invitato, da privilegiato attore per i suoi film, per un’anteprima del suo splendido lungometraggio “La maschera umana”, prima di lasciarci mi ha messo in mano, con una semplicità e un’umiltà disarmanti (e allora non sospette), il suo libro Le mani addosso.
La curiosità uccise il gatto!
Dopo qualche giorno, terminato un D’Annunzio e alla prese con Plutarco, mi sono detto: “ma sì, tra un Cesare e un Demostene, diamo un occhio al libro di Max!”…. ed è stato l’inizio della fine: aperto venerdì sera e finto domenica: 320 pagine divorate. Uno di quei libri che leggi con foga e curiosità estreme, tutto intrippato su come evolverà la storia.
Risultato? Un libro stupendo!
Davvero non immaginavo che in Massimo splendesse un talento così puro e cristallino, un tiro narrativo degno dei più blasonati autori blockbuster!
Non voglio anticiparvi niente, ma lasciatemi esporre tre motivi per cui, a mio parere, dovreste leggerlo.
RITMO: i periodi e i passaggi del romanzo hanno un ritmo altissimo e costante, la suspence non cala mai, i paragrafi si snodano con facilità e linearità e non c’è spazio per la noia: si è spinti ad andare oltre, immersi nelle vite e vicissitudini dei suoi personaggi (meritano un discorso a parte, vedi dopo). Un ritmo da grande scrittore, sostenuto e sempre in crescendo fino all’ultima pagina.
POESIA: questo è forse l’aspetto che più amo nei lavori di Massimo, siano essi film, romanzi o semplici soggetti. L’autore riesce a tessere un velo costante di poesia addosso ai personaggi, alle loro vite e ad altri fattori, quali ambienti e situazioni.
C’è sempre un sottofondo di bellezza e di estetismo, con uno stile asciutto, ma mai banale; una scelta di termini ricercati e comprensibili; uno stile narrativo che mi piace definire come realismo estetico.
Massimo non si allontana mai dalla realtà attuale, gli eventi sono sempre plausibili e non si notano artifici narrativi improbabili, se non in alcune strane coincidenze, che si rivelano però necessarie per reggere la trama e che io so essere una delle caratteristiche della scrittura alborghettiana, legata agli intrecci del destino e allo zampino del fato, a guisa di un deus ex machina di greca memoria che guida gli eventi verso il sorprendente finale.
PERSONAGGI: come sempre gli attori delle storie di Massimo, siano essi protagonisti o semplici comparse, sono veri e profondi. Lo scrittore ne tratteggia l’animo e l’aspetto in modo magistrale, mostrandoli normali, eppure unici. Essi ben rappresentano la varietà del genere umano ed è giocoforza immedesimarsi e innamorarsi di alcuni di loro ed odiarne e detestarne altri.
In ogni caso non si può restare indifferenti, perché loro, le persone del libro, sembrano vive e scatenano nel lettore emozione, affetto ed empatia.
Massimo Alborghetti può essere definito un simbolista: la sua maniacale attenzione per i dettagli e il suo amore per le cose fanno sì che nulla sia lasciato al caso, c’è sempre un richiamo a qualcosa di più grande e importante, c’è sempre un significato occulto e metafisico nella scelta dei termini e delle situazioni.
Le mani del titolo, ad esempio, possono significare contatto, relazione, cura (la carezza) o violenza (un pugno), ma anche arte e poesia (si scrive con le mani).
Siate dunque pronti a porre attenzione ai partcolari, perché sveleranno un altro mondo fatto di significati oltre i significanti.
Un ultimo accenno alla crudezza di alcuni passaggi.
I lavori di Alborghetti, in genere, non sono certo per bambini o ragazzini. L’autore si muove nel filone thriller, quindi è naturale che ci siano scene cruente ed esplicite; ma non sono mai gratuite e per quanto possano arrivare con la portata di un pugno nello stomaco (la famosa mano), si rivelano indispensabili e sono caratteristiche dello stile personale dell’autore.
Cosa altro posso aggiungere?
Da amante di simboli e coincidenze quale io sono, mi è parso subito di notevole auspicio che proprio mentre leggevo le Vite Parallele di Plutarco sia arrivato nel mio cuore questo libro di Alborghetti, che narra le vicende di quattro vite parallele.
E proprio come nell’opera dello storico greco, esse alla fine convergono: in Plutarco lo fanno in vizi, virtù e necessità storica, in Alborghetti si incontrano nell’adempimento del vero poetico e del fine letterario.
Grazie, Max.
Il tuo attore e ammiratore, Gianluca Piretti.
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