“Dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna.” Questa celebre frase attribuita a Virginia Woolf, sembra riferirsi al detto latino “Dotata animi mulier virum regit” e cioè “Una donna dotata di coraggio sostiene il marito”.
Questa forse non è una regola scientifica, ma per lo scultore Marino Marini, aver incontrato la “grande donna”, Mercedes Pedrazzini, conosciuta come Marina Marini, è stato un grande apporto per suo percorso di affermazione e riconoscimento del suo percorso artistico. A Pistoia infatti, si trova il Museo Marino Marino, voluto proprio da Marina dopo la morte del suo amato. Marina ha continuato a organizzare mostre e a lavorare, dopo il 1980 (anno di morte dello scultore), per far sì che il nome di Marino Marini non fosse dimenticato, anche se già in vita, ricevette i più alti riconoscimenti.
Al Museo Marino Marini, entrando, si incontra un aspetto dello scultore meno noto. Quello della ricerca e delle riflessioni sul colore.
Grandi tele, dipinte con colori spesso puri, sono messe in relazione con il suo amico Mirò. I colori, e a momenti anche lo stile, avvicinano molto la resa estetica dei lavori dei due artisti che, al contrario, concettualmente sono molto differenti. Proseguendo lungo il percorso si palesa immediatamente la distanza tra i due.
Le sculture surrealiste di Mirò, a tratti simpatiche e curiose, si scontrano con la drammaticità dell’opera intitolata “Il grido”. Un bronzo che pare di lastre saldate, che costruiscono un cavallo ritorto con la testa in basso rivolta verso l’alto, che richiama subito alla mente il cavallo urlante e morente del “Guernica” di Pablo Picasso.
Camminando nel museo sembra di percorrere tre momenti della vita di Marino Marini. Il colore, la forma e l’architettura. Non che una cosa, col passare del tempo, escluda l’altra. Le sculture di Marino Marini, a volte hanno del colore, e spesso le forme, come quella del cavallo e del cavaliere, diventano architetture.
Nelle stanze piene di gessi, bronzi, bronzetti, terrecotte e dipinti, si è portati a pensare che la scultura non è una lingua morta, al contrario di quel che sosteneva il suo maestro, Arturo Martini nel testo “La scultura lingua morta e altri scritti”, ma una ricerca che vive con la sua epoca, per questo suscettibile a stili, necessità, e diversi momenti di intensità.