Sono passati vent’anni dalla morte a Mogadiscio, in Somalia, dell’inviata di Rai 3 Ilaria Alpi e dell’operatore televisivo Miran Hrovatin. Il 20 marzo del 1994 sono stati uccisi poco prima di rendere noti i risultati di una scottante inchiesta sul traffico di armi e di rifiuti tossici tra l’Italia e il Paese africano.
L’AGGUATO- La vicenda della morte dei due giornalisti apparve, sin da subito, inquietante in ogni suo aspetto. Attirati in una trappola da una telefonata, i due giornalisti vennero freddati da colpi ravvicinati: Ilaria addirittura ammazzata con un colpo alla testa.
I DEPISTAGGI- Da allora i depistaggi l’hanno fatta da padrone. Così, mentre sparivano tre taccuini di appunti di Ilaria insieme a cinque cassette di riprese fatte da Miran, venne manomesso in maniera professionale un nastro contenente l’intervista fatta dalla giornalista a Mussa Bogor, il sultano di Bosaso e uomo chiave di intricati e oscuri affari fra Italia e Somalia. Mentre accadeva questo, la scena lasciava intravedere una realtà che sembrava superare di gran lunga la più fervida fantasia.
AGENTI SEGRETI- Si registrava, infatti, l’ambigua presenza di agenti segreti e uomini d’affari, falsi testimoni e faccendieri, pescherecci donati dal Governo italiano che, invece di trasportare prodotti ittici, servivano da copertura per traffici di scorie radioattive e commercio di armi con i signori della guerra civile somala.
Una vicenda oscura, nella quale Giorgio e Luciana Alpi, genitori di Ilaria, hanno tentato di fare luce: una battaglia dura, che oggi Luciana combatte senza il marito, scomparso qualche anno fa. Una delle sue conquiste è che il Governo italiano toglierà il segreto di Stato che grava su centinaia di faldoni che i servizi segreti hanno compilato sulla assurda morte di Ilaria e Miran, documenti conservati presso la camera dei Deputati.
LA MAMMA DI ILARIA- La signora Luciana Alpi è speranzosa. «Mi auguro», spiega, «che questi documenti possano fare luce sulla morte di mia figlia e di Hrovatin. Certo per esprimere un giudizio bisognerà attendere di leggere queste carte che da quello che mi dicono sono molte, circa ottomila, e richiederanno forse del tempo per essere esaminate. La mia speranza e che ci siano tutti i documenti e che non siano state fatte sparire quelle prove necessarie a confermare la verità storica di quanto è successo. Purtroppo in questi anni abbiamo dovuto assistere a tanti depistaggi e a tante chiacchiere che non hanno portato nulla. Vorrei che l’esame della documentazione fosse fatta da magistrati particolarmente affidabili come il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, il quale so che non mi tradirà e farà tutto quello che può per scoprire chi e perché volle la morte di Ilaria e Miran».
Antonio Parisi per Vero