Chi legge la stampa estera sa che le banche italiane sono divenute proverbiali. Tristemente proverbiali, in effetti. A sentire i nostri amici transalpini, sono sempre sull’orlo del baratro e presto ci cadranno, oppure richiederanno una mostruosa iniezione di denaro tedesco per mantenersi in piedi.
Questa visione è sempre stata una deformazione, ma non c’è dubbio che il nostro sistema bancario abbia attraversato negli anni scorsi una crisi profonda.
E adesso? Nel 2017, a quanto pare, siamo entrati in fase di risalita. Il sito finanzareport.it, citando uno studio della Uilca, ha rivelato che nel primo semestre l’utile aggregato delle prime tredici banche è quasi raddoppiato. Assaporatela bene, perché questa è l’ultima cifra che ho intenzione di citare in queste righe: sono 4,7 miliardi di euro. Ma del resto che le cose stiano migliorando lo si percepisce anche solo a leggere le relazioni semestrali. Perfino quando riportano svalutazioni o perdite, è chiaro che il vento è girato..
Perché il settore del credito è andato tanto in crisi? I motivi sono diversi. Il primo è il mancato intervento dello Stato dopo lo scoppio della crisi finanziaria. Le banche italiane erano poco ingombre dei derivati tossici che hanno messo in ginocchio quelle di mezzo mondo. Perciò lo Stato è rimasto a guardare, facendo poco o nulla. E poco o nulla, quando non danno, ha fatto negli anni successivi, quando sono entrati in gioco gli altri motivi della debolezza: un’economia che non cresce e a cui lo Stato sottrae sempre più risorse con la tassazione; corruzione politica; organici pesanti;bassi tassi d’interesse; molti cattivi pagatori che aumentano i crediti non performanti, con un mercato finanziario incapace di renderli liquidi.
Tutto questo, come un ghiacciaio, richiedeva tempo per sciogliersi. Nell’ultimo anno e mezzo, il disgelo si è avviato con piccoli miglioramenti incrementali. La ripresa ha fatto la sua parte.
Resta un problema: le imprese, specie quelle piccole e medie che dominano il panorama produttivo, non stanno attingendo molto al credito. E stavolta non perché le banche siano meno disponibili a concederlo, ma perché negli investimenti le imprese ancora non premono sull’acceleratore. Le banche prestano di meno e hanno margini di intermediazione inferiori; allora si rifanno sulle commissioni e scrollano via i dipendenti. Non è una situazione sana.
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