Subito dopo il duplice delitto del Mostro di Firenze del settembre 1985, l’Arma dei Carabinieri, esasperata dall’imprendibilità del serial killer più celebre della storia italiana, ed uno dei più famigerati al mondo, imperterrito nel colpire nonostante gli enormi sforzi investigativi messi in atto per acciuffarlo, richiese la consulenza di un matematico. il professor Cesare Marchetti, esperto nella cosiddetta “equazione di Volterra”, che descrive l’evoluzione di sistemi in cui interagiscono prede e cacciatori.
Può sembrare una bizzarria, ma in effetti la vicenda del mostro di Firenze che, dal 1968 in poi, aveva ucciso ben 8 coppiette che si erano appartartate in auto in luoghi di campagna, poteva assomigliare a un sistema preda-cacciatore.
Il responso del professor Marchetti fu sorprendente: il Mostro di Firenze non avrebbe ucciso più.
Gli appassionati di quest’inchiesta sanno bene che il “delitto degli Scopeti” del 1985 è stato, per l’appunto, l’ultimo commesso dal Mostro di Firenze.
Negli ultimi trentadue anni questo efferato assassino è rimasto inattivo.
Ho interpellato alcuni esperti in matematica, i quali mi hanno espresso i loro dubbi sull’applicabilità a un’indagine criminale dell'”equazione di Volterra” che, considerando una popolazione “chiusa” di cacciatori e prede, calcola fino a quando le prime avranno vittime da aggredire.
Da inesperto, ho avuto le stesse perplessità.
Va però detto che il professor Marchetti avrebbe azzeccato non solo la durata delle gesta del Mostro di Firenze ma, consultato analogamente in proposito, anche quella delle Brigate Rosse…
Il “calcolo” del professor Marchetti mi è tornato in mente leggendo il libro di Valerio Scrivo, “Il Mostro di Firenze esiste ancora”, incentrato sull’applicazione al caso delle più moderne metodologie scientifiche per la caccia ai serial killers.
Scrivo ritiene che le indagini fin qui svolte sul Mostro di Firenze siano sbagliate. In particolare reputa un grave errore la condanna nei confronti dei “compagni di merende”, Pietro Pacciani, Giancarlo Lotti e Mario Vanni, nonostante questa sia, ad oggi, la verità giudiziaria sul caso.
Il presupposto di Scrivo è che le esperienze, e i conseguenti studi, a livello internazionale, sui serial killer inducano a considerare il Mostro di Firenze come un singolo individuo, psicologicamente disturbato, che uccide per appagare insopprimibili pulsioni di morte.
Per scoprirne l’identità, tutt’ora sconosciuta, si dovrebbe perciò basarsi sui dati ricavabili con le tecniche di analisi quantitativa, ed oggettiva, utilizzate con successo in casi analoghi.
Sì tratta di classificare le informazioni sui delitti commessi dal Mostro secondo schemi logici che aiutano a rispondere alle domande fondamentali sulla sua azione: perché uccideva in certi luoghi, in certi momenti e in un certo modo?
È chiaro che, così, si potrebbe arrivare a un identikit estremamente specifico dell’assassino.
Il profilo geografico del mostro di Firenze
Scrivo definisce il primo elemento di tale identikit “profilo geografico”. Una ragionata mappatura dei luoghi in cui un serial killer ha operato fornisce indizi sulla sua abitazione e sulle località elettive per le sue scorribande assassine.
Il “profilo geografico” del Mostro di Firenze lo da come residente nelle vicinanze del paese di Vicchio, dove sono avvenuti due degli omicidi. Ma preferiva colpire vicino ai caselli dell’Autostrada del Sole situati nel circondario di Firenze, per garantirsi una rapida fuga.
Poi c’è il “profilo temporale”. Ovvero: perché uccideva in certi mesi dell’anno, in certi giorni della settimana, e in certe ore del giorno?
L’analisi di Scrivo è assai interessante: il Mostro di Firenze colpiva nel periodo in cui le scuole erano chiuse, e in date, prevalentemente il fine settimana, in cui non aveva impegni lavorativi. La scelta di notti di luna nuova non rispondeva a esigenze esoteriche, ma banalmente opportunistiche: spostandosi e rientrando a casa con l’automobile, aveva bisogno nell’oscurità per non rischiare di venir notato.
Il legame col periodo scolastico induce a ritenere che abitasse assieme a parenti con prole in età scolare (o impiegati nella scuola) e quindi solo nei mesi estivi, quando la famiglia si trasferiva in un luogo di villeggiatura lontano dal fiorentino, ad esempio al mare, aveva la necessaria facilità di movimento.
Ancor più verosimilmente, era l’inverso, ovvero il Mostro abitava in città con la famiglia durante il periodo scolastico, e si trasferiva per le vacanze estive in una località della campagna fiorentina. In questo caso era del tutto normale che nelle sere del fine settimana uscisse fino a tardi.
C’è poi il “profilo strategico”, ovvero lo schema che il Mostro seguiva nello scegliere, di volta in volta, giorno e luogo dell’omicidio successivo.
Dal punto di vista investigativo questa è, o meglio sarebbe stata, l’analisi più utile, visto che Scrivo spiega come, nel 1985, puntasse l’indice sulla zona intorno al casello Firenze Certosa nel primo fine settimana di settembre. Ricordiamo che le vittime dell’ultimo delitto sono state ritrovate lunedì 9 settembre 1985 nei pressi del paese di San Casciano Val di Pesa.
Il “profilo tattico”, dedicato all’analisi delle modalità operative dei delitti, e quello “vittimologico”, dedicato alla tipizzazione delle vittime, servono a comprendere meglio perché il Mostro uccideva.
Ne risulta che l’assassino doveva avere intorno ai vent’anni all’epoca del primo delitto. Per educazione era un moralista misogino tuttavia fortemente attratto, al tempo stesso, dalle donne coetanee con le quali aveva difficoltà a relazionarsi. Dotato di intelligenza e sangue freddo, non aveva dimestichezza particolare con le armi da fuoco mentre era esperto nell’uso del coltello, probabilmente perché faceva lavori manuali.
L’omicidio chiave è il secondo, quello del 1974, che presenta una particolarità rispetto a tutti gli altri: il crudele accanimento contro la vittima femminile.
Costei non viene uccisa con la pistola, ma solo ferita, e trascinata fuori dall’automobile per essere sfregiata in viso e finita brutalmente a coltellate. Post mortem l’assassino, pur non compiendo in questa occasione le macabre escissioni che lo renderanno tristemente famoso, si accanisce su di lei tagliandola insistentemente intorno agli organi sessuali, e poi infilandole un tralcio di vite nella vagina.
Il Mostro la odiava particolarmente perché la conosceva.
Una telefonata anonima attribuibile al colpevole, pervenuta ai carabinieri il giorno successivo alla scoperta dei cadaveri a segnalare il luogo dov’era stata gettata la borsetta della ragazza, induce a ritenere che il Mostro fosse addirittura un vicino di casa della ragazza, a conoscenza sull’andamento delle indagini in quanto amico della famiglia.
Il mio è un riassunto sintetico, ma va dato atto a Scrivo di ancorare tutte le sue conclusioni, meticolosamente, alle risultanze investigative ufficiali.
Il ritratto del Mostro che ne emerge manca veramente solo del nome e del cognome.
Poiché “Il Mostro di Firenze esiste ancora” è uscito tre anni fa, c’è da chiedersi se nessuno degli inquirenti, da allora ad oggi, abbia tentato di seguire la pista.
Se infatti sul primo e gli ultimi quattro delitti dell’assassino è intervenuta una sentenza definitiva di condanna, gli altri tre, e in particolare quello del 1974, considerato da Scrivo come il più significativo, sono ancora casi formalmente aperti.
Rino Casazza
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