Brexit Bill è un pistolero capace di tutto a cui l’Unione Europea ha affidato il compito di recuperare i soldi che le deve Theresa Mad, che sta cercando di scappare con la cassa assieme ai Tre Brexittieri Boria Johnson, Liam la Volpe e Davy Crockett Jefferson Davis. Che ci fanno dei brexittieri in un western ultraviolento come quello delle eurotrattative? Abbiamo tutti imparato dall’umorismo demenziale alla Monty Python o alla Gialappa’s Band.
Ci torneremo sopra. Per adesso occorre uscir di metafora, nel vento e nella neve, e spiegare che cos’è nella realtà il Brexit Bill. È semplicemente il conto degli impegni finanziari in essere della Gran Bretagna verso l’Unione Europea. La discussione in proposito si preannuncia particolarmente accanita, perché si parla di soldi e sui soldi, cari miei, nell’Unione si discute alla maniera delle risse a Malebolge.
L’argomentazione europea è semplice: ci sono programmi pluriennali in esecuzione, la Gran Bretagna a suo tempo li ha approvati e si è impegnata a coprire una parte del loro costo. Se si ritira e non caccia più i soldi, lascia un buco nel budget. Chi lo coprirà, mettendo i soldi che non mette più Londra? Nessuno Stato si è assunto questo obbligo al momento della decisione, nessuno ha soldi da buttare e non si vede perché gli inglesi abbiano il diritto di costringere gli altri a tirarli fuori. E allora? Si rinuncia al programma? Lo si ridimensiona? Mica sempre è possibile: non si possono costruire solo due archi dei tre di un ponte e poi piantare lì. E perché i Paesi Ue dovrebbero pagare da soli le pensioni ai funzionari Ue di nazionalità britannica, inclusa gente come Nigel Farage che è stato nel Parlamento europeo per rompere le balle e basta? Di qui la richiesta che la Gran Bretagna paghi.
La turbolenta e clownesca congrega dei Brexittieri (‘Atzos, Porcos e Adavis), si indigna. Una volta fuori, non scuciremo più un eurocent! tuonano. L’arco di Robin Hood viene staccato dal chiodo del Museo di Sherwood e consegnato a un nuovo Guglielmo Tell, con l’incarico di trafiggere al cuore Brexit Bill, uno degli sgherri dello Sceriffo di Nottingham o del Balivo di Bruxelles. Un western, un romanzo di cappa e spada, una leggenda inglese e una svizzera, tutto in una medesima storia. Altro munumento alla libera fantasia dell’artista che vi descrive la situazione.
L’Ue, con qualche ragione, vuole che la Gran Bretagna accetti il principio di dover pagare per gli impegni presi, e che poi si proceda a calcolare il loro importo. Per le persone sensate, qui ci sarebbe ovvio spazio per una trattativa. Per esempio, l’Ue potrebbe scontare qualche milioncino di euro per tenere conto degli asset europei pagati con l’apporto della Gran Bretagna. Gli inglesi lo chiedono, nel loro modo screanzato e preelettorale. Scordatevi la signorilità, il fair play, l’understatement. Questa roba erano gli inglesi di una volta. Quelli di oggi strillano come hooligans o chiocce. Nonostante questo, l’Ue potrebbe dire di sì. Ma per ora, preferisce rincarare la dose chiedendo che Londra paghi tutti i costi originati dalla Brexit.
Si vedrà. Un semplice esempio comunque può chiarire quanto si preannuncia duro il negoziato. Quando è stata creata l’Agenzia europea per i medicinali, l’accordo fra i Paesi Ue prevedeva che risiedesse a Londra. Perciò i suoi responsabili hanno a suo tempo acceso un leasing venticinquennale per pagare la sede. Importo: 500 milioni. Non è stata prevista nessuna clausola di risoluzione anticipata, che avrebbe fatto salire il prezzo. Tanto, che cosa c’è di più forte e stabile di un’istituzione comunitaria?
La Brexit, è ovvio. L’Ue dice che Londra deve pagare l’estinzione del leasing, i britannici replicano che l’Agenzia può anche restare dov’è, a loro perfino piace, è una bella agenzia di molti colori. Ma sembra ovvio che le agenzie europee debbano risiedere sul territorio dell’Unione. Sono aperte le discussioni. Chi vuole tirare il primo uppercut? Paolo Brera