Inizio questa recensione con un rammarico.
E’ vero che non si può leggere tutto ( un exploit alla portata del solo Stepane Mallarmé, a prezzo di una smisurata malinconia…) ma è grave che non abbia letto prima nessuno dei romanzi della serie, iniziata nel 2000 con “Dante Alighieri e i delitti della Medusa”, cui appartiene “La Sindone del Diavolo ” di Giulio Leoni.
Eppure la messa in campo del Sommo Poeta, il più grande della letteratura mondiale, come investigatore in storie storicamente plausibili, avrebbe dovuto attirarmi.
Sono ricorso io stesso più volte a questa formula ( personaggi storici implicati in vicende che sarebbero potute accadere), in particolare nei tre romanzi dedicati alla “sfida al vertice ” tra Auguste Dupin e “Phantomas”, laddove faccio rivivere, nel primo, “Le regole del gioco”, parecchi grandi campioni di scacchi del primo novecento, tra cui Frank Marshall; nel secondo, “Il Fantasma all’opera”, nientemeno che Arturo Toscanini; nel terzo, “Bergamo sottosopra”, il commediografo e librettista Giuseppe Giacosa.
Inoltre quanti mi conoscono sanno della mia venerazione, sconfinante nella fissazione, per Dante Alighieri. Conosco a memoria, e spesso declamo propinandoli agli amici, brani della Commedia ( preferito: l’attacco dell’ultimo canto del Paradiso, la meravigliosa preghiera di San Bernardo alla Madonna) e non mi stanco di consigliare una caccia al tesoro sui generis, ovvero scorrere le sequenze dei versi danteschi, scritte in arcaico linguaggio trecentesco, alla ricerca di perle senza tempo, cioè endecasillabi che potrebbero essere stati scritti oggi. Qualche esempio? “La bocca mi baciò tutto tremante”, “Vergine madre, figlia del tuo figlio”, “Ahi dura terra, perché non t’apristi?”.
Insomma, l’incontro col ciclo di Dante Alighieri detective di Giulio Leoni era inevitabile, e infatti, sia pure con colpevole ritardo, è avvenuto.
Credo di sapere che cosa mi ha trattenuto finora: il pericolo della delusione. Ciascuno ha il suo Dante immaginario, ed io il mio. Onestamente, che il “Vate dei Vati” potesse farsi investigatore, non l’avevo mai concepito.
Leoni, che è scrittore di raffinata cultura e robustezza stilistica, in un folgorante racconto ha impegnato in un’indagine poliziesca addirittura Leonardo da Vinci, e devo dire che nel ruolo il genio indiscusso del Rinascimento mi è parso da subito più famigliare. Non a caso, con la sua conoscenza del corpo e della fisiologia umana, fa a meno del medico legale…
La Sindone del Diavolo:
Ma Dante? Nella mia fantasia il letterato fiorentino è soprattutto filosofo e politico di grandi visioni, dunque non proprio adatto ( e sicuramente, biografia alla mano, sbaglio) a sporcarsi le mani con casi criminali.
Ne la “Sindone del diavolo”, romanzo potente per accuratezza e corposità di ambientazione ( la Venezia trecentesca, ancor più ambigua, nella sua anomalia urbanistica e culturale, di quanto non sia oggi) Leoni affida a Dante, arditamente, un ruolo a metà strada tra l’agente segreto e l’indagatore dell’incubo.
Il nostro è inviato dalla corte imperiale di Arrigo VII, faro politico dei suoi ideali di guelfo bianco, in missione nella città costruita sull’acqua, ai tempi già potenza economica e commerciale, con il compito, capitale per le sorti della lotta tra Papato e Impero, di trovare un rimedio medico, di provenienza magica e blasfema, in grado di guarire l’Imperatore malato e in fin di vita.
Ne deriva un’immersione angosciosa e allucinata, di forte fascino evocativo, in una Venezia labirintica e nebbiosa, piena di insidie ed orrori sconosciuti, in cui Dante , abituato alla terraferma, deve muoversi sfoggiando insospettabili (?) doti di uomo d’azione, una sorta di 007 medioevale cui più che l’enorme cultura e la sensibilità artistica ( comunque sì sentono!) giovano la resistenza fisica, le capacità atletiche e l’abilità nell’uso delle armi e nel combattimento corpo a corpo.
Poiché di Dante si tratta, ad oggi il più grande cantore della passione amorosa, non manca un incontro erotico di delicata poesia e, in omaggio all'”alta fantasia” del personaggio , visioni (vere?) d’oltretomba che riecheggiano, e forse ispireranno, il cupo Inferno della Commedia.
Sappiamo che l’happy hand è assicurato poiché Dante è all’inizio della stesura del suo immortale poema, e non può dunque morire in azione, ma l’intrigo che lo avviluppa, in cui le sue incrollabili convinzioni religiose sembrano essere ribaltate da una realtà più vicina alle credenze islamiche, tiene col fiato sospeso sino all’ultimo, per chiudersi con una dolorosa ma purificatrice apocalisse.
Rino Casazza
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