Dopo che la Corte dei Conti ha aperto un’istruttoria contro l’agenzia di rating Standard and Poor’s per averci declassato, nel 2011, senza averle tenuto conto del valore dei nostri beni culturali, il settimanale OGGI ha preso in esame un stima del nostro patrimonio e ha chiesto ad alcuni esperti di darne una valutazione.
La stima l’ha fatta l’ufficio studi della Camera di Commercio di Monza e Brianza utilizzando una ventina di criteri, tra cui il numero di turisti, i soldi che ognuno di loro spende, la riconoscibilità del “bene” su Internet, il numero e la qualità delle aziende coinvolte nell’indotto (ristoranti, alberghi, agenzie di guide turistiche ecc.) , il valore del territorio in cui il bene risiede. Risultato? Il Colosseo vale 91 miliardi, i Musei Vaticani 90, il Duomo di Milano 82, la Fontana di Trevi 78, Pompei 20, gli Uffizi solo 12 miliardi.
«A me delle classifiche non importa nulla, tanto non siamo in vendita», replica piccato a OGGI Antonio Natali, direttore del museo fiorentino dal 2006. «La stampa inglese ci colloca al 21° posto tra i musei mondiali ma, in realtà, siamo al primo. Se rapportiamo la superficie espositiva con il numero di visitatori non abbiamo rivali. Noi facciamo 1,9 milioni di ingressi l’anno, il Louvre, che è immenso (circa 10 volte più grande, ndr), 6,5».
Continua Natali: «È una valutazione ridicola: abbiamo una ventina di Botticelli il cui costo è incommensurabile. Vedo che nella classifica siamo preceduti da una “città di morti” (il riferimento è a Pompei, ndr). Ci si dimentica che noi possediamo l’unica opera sicura di Michelangelo su tavola, il Tondo Doni, che quei 12 miliardi se li divora tutti, da solo».
E a OGGI il professor Attilio Celant, esperto di Economia del turismo e docente di Geografia economica presso l’Università La Sapienza di Roma, dice che il valore dei nostri beni, ben modesto se paragonato ad altri esteri, è persino sopravvalutato: «Novanta miliardi per il Colosseo mi sembrano un po’ tanti, forse la cifra andrebbe dimezzata, e così anche per gli altri monumenti. Il male dei beni culturali italiani è che producono poco reddito. Prendiamo l’anfiteatro romano. Il biglietto d’ingresso costa 12 euro, moltiplicandoli per il numero annuo di visitatori (circa 6 milioni, ndr) si arriva a 72 milioni di euro di introiti. Per convenzione diciamo che il Colosseo rende l’1% del suo valore, quindi il suo “prezzo” dovrebbe essere 7,2 miliardi di euro. Si può arrivare a 40-50 miliardi solo perché interviene il “brand”, una sorta di moltiplicatore del valore reale di un oggetto. Il Colosseo lo conoscono tutti…». Il paragone con l’estero è impietoso: se si confronta il dato proposto dal professor Celant con il valore assegnato ad alcuni monumenti esteri, tipo la Tour Eiffel, si vede subito che non c’è storia. La torre simbolo di Parigi vale, secondo lo studio, ben 434 miliardi di euro. Ma come può un groviglio di ferraglie essere valutato dieci volte una costruzione millenaria carica di storia e di fascino? Spiega Renato Mattioni: «La Tour Eiffel vale così tanto per due ragioni. La prima è che Parigi è una città dove funziona tutto. Prendiamo i trasporti, di vitale importanza per qualunque turista. Loro hanno 14 linee della metropolitana (contro le 2 di Roma, ndr). La seconda ragione è che la torre è l’unico vero marchio riconoscibile. A Roma nello spazio di pochi metri ci sono il Colosseo, i Fori Imperiali, l’Altare della patria, un grande sovraffollamento di monumenti».