“Per tutte le lingue del mondo” è lo slogan di quest’anno con cui la Federazione dei Logopedisti Italiani lancia la campagna organizzata in occasione della Giornata Europea del 6 marzo del CPLOL (il comitato europeo della logopedia), dedicata al ‘multilinguismo’, una condizione legata principalmente al fenomeno dell’immigrazione e che vede maggiormente coinvolti bambini in età scolare e prescolare. Un fenomeno massiccio: sono infatti oltre ottocentomila gli studenti stranieri in Italia, circa 300 mila sono bambini tra i 6 ai 12 anni. Considerando una prevalenza media dei disturbi del linguaggio nei bambini del 7%, è facile ipotizzare che almeno 20 mila avrebbero bisogno del logopedista. Ma spesso i disturbi del linguaggio vengono scambiati solamente per difficoltà ad apprendere la nuova lingua e non viene dato il necessario peso al problema. In questi casi, invece, basta la presenza di un piccolo disturbo all’origine per creare enormi difficoltà di gestione del linguaggio e conseguente isolamento sociale all’asilo e a scuola e quindi nella vita successiva. Si tratta di un fenomeno non solo italiano, ma europeo. Non a caso anche la Federazione Logopedisti Italiani promuove la Giornata Europea della Logopedia 2014 proprio sul tema del multilinguismo e della multiculturalità. E per questo offrirà attraverso il proprio sito Internet (www.fli.it e relativi ‘social’) materiale informativo tradotto in tante lingue che sarà a disposizione di professionisti, operatori scolastici, famiglie e comunità straniere presenti in Italia. Oltre al sito sono disponibili anche un numero di telefono (049/8647936) attivo dal 3 al 7 marzo dalle 10 alle 12, e un indirizzo email (info@fli.it) sempre attivo.
“Fenomeni come il passare da una lingua all’altra o il restare a lungo in silenzio in classe – spiega Tiziana Rossetto, presidente della Federazione Logopedisti Italiani – sono normali nel bambino bilingue e non devono far sospettare un disturbo del linguaggio. Generalmente, occorrono 2 anni di permanenza in un Paese per raggiungere una buona capacità conversazionale, ma se dopo 6 mesi di permanenza in Italia, il bambino non è per niente in grado di esprimersi in italiano, è necessario un approfondimento. Bisogna prestare attenzione innanzi tutto a come il bambino parla nella sua lingua madre. Difficoltà nel fare questo, riferite dai genitori o da altra persona fluente in tale lingua, richiedono un’attenzione immediata e la valutazione logopedia”.
“Il fenomeno migratorio e la globalizzazione – aggiunge Raffaella Citro, delegata italiana al CPLOL, logopedista e membro della segreteria nazionale FLI – hanno prodotto anche nel nostro Paese nuovi bisogni di salute ai quali bisogna dare risposte appropriate ed eticamente sostenibili. Per questo al professionista oggi si richiedono maggior cultura multietnica e sviluppo di competenze professionali per l’appropriatezza degli interventi in ambito multilinguistico dove cooperazione, condivisione e rispetto di tutte le parti in causa siano le parole chiave per il successo terapeutico e sappiano integrare ambienti culturali e mondo di valori molto differenti”.
Anche in Italia il fenomeno dell’immigrazione si è ormai consolidato a seguito della stabilizzazione dei percorsi e dei flussi migratori. La presenza degli alunni stranieri nelle scuole italiane è di grande rilievo: oltre che variegata quanto all’origine geografica e linguistica (gli alunni provengono, infatti, da circa 200 Paesi differenti) è sempre più numerosa: secondo il Miur, nell’anno scolastico 2012/2013 il numero degli alunni con cittadinanza non italiana è stato di 786.630 unità, ovvero 30.691 in più rispetto all’anno scolastico precedente. Le ricadute sul piano sanitario e sull’intervento del Logopedista si traducono quindi nell’aumento del 20% dei bambini stranieri presi in carico nei servizi dell’età evolutiva. Parliamo solo di nativi italiani, i cui dati sono ufficiali, con punte più alte nelle zone urbane dove le comunità straniere sono più numerose.
“I Logopedisti – conclude la presidente – hanno un ruolo molto importante nella gestione della complessità terapeutica nei casi di multilinguismo. Il professionista deve essere un facilitatore nella relazione e interazione tra i diversi attori: la famiglia, la scuola, l’équipe multidisciplinare. Per questo dovrà dare sempre il giusto valore alla lingua madre della famiglia d’origine, che va mantenuta per le relazioni affettive e l’educazione, ma dovrà anche individuare e quindi potenziare le caratteristiche delle lingua appresa secondariamente, che verrà poi utilizzata per gli apprendimenti scolastici e che determinerà il proseguimento e l’inserimento nella società. Valori, culture aspettative a volte molto distanti devono essere integrate per un diritto universale che è quello di “parola”, in ogni contesto e condizione per la qualità della nostra vita”.