I semafori, oggi, sono un turbinio di giallo profumo. I lavavetri si sono trasformati in fiorai e nei bar, agli angoli delle strade, risuonano auguri e solidarietà.
Ce la viviamo ogni anno, la ricorrenza.
Come sempre c’è quello che tira fuori, con supponenza, la faccenda dell’incendio alla fabbrica che ha reso necessario il ricordo camuffato e non sa che si tratta di un falso storico.
Così come si rende necessario, ogni santissimo anno, festeggiare la donna.
Ma la domanda sorge spontanea: quale donna?
Quella che si arrabatta tra le bollette e cresce due figli senza avere più un attimo per pensare al suo vestito migliore, da una vita nell’armadio, che meriterebbe di essere rappezzato?
Quella in carriera, tra yatch e cocktail? Quella che legge Sartre e ne parla al lavoro?
Quella che legge romanzetti rosa e sogna a quarant’anni il principe azzurro?
Quella che si commuove pensando ad un bambino che non potrà mai avere?
Forse sì. Si festeggiano tutte le donne, indistintamente ed inevitabilmente tutte le donne.
E alcune di loro fingono che se ne senta ancora il bisogno.
Le donne, al giorno d’oggi, ricoprono ruoli di potere. Sono affermate in ogni contesto, senza alcuna discriminazione e diffidenza.
Certo, non è così dappertutto. E’ ovvio.
Anch’io avrei voluto essere un brillante giocatore di basket ma, essendo mediamente basso, sono stato costretto a dedicarmi a sport alternativi.
Tipo gli scacchi. E con pessimi risultati.
Quindi cosa si ricorda l’8 Marzo? Una tragedia che non è mai avvenuta o che, comunque non è riconducibile ad eventuali affronti subiti dalle donne?
La necessità di far sentire le donne, almeno per un giorno, una categoria a sé stante da sostenere a suon di perbenismo social?
Non è, quest’ultima, già una sorta di discriminazione?
O, forse, è solo il pretesto per inventarsi uno sciopero.
L’otto marzo i fiorai fanno soldi, i locali e i relativi spogliarellisti fanno soldi. Così come a San Valentino c’è la solita strage di cagnoni di peluche con il cuore tra le zampe con la scritta “Ti voglio bene”, e stronzate simili.
Forse dovremmo andare da una fioraia a chiederle se oggi è davvero la sua festa.
Sono certo che risponderebbe di si, per almeno un buon motivo.
Sarebbe ora di finirla di considerare le donne come vittime. Non lo sono e non devono esserle. Così come gli omosessuali e i neri.
Ci si inventa ricorrenze solo per sottolineare che la differenza c’è, eccome. Specialmente per chi ci tiene a scuotere la testa al pensiero che “bianchi e neri sono tutti uguali” o “le donne e gli uomini devono avere gli stessi diritti”.
Sapete che festa era il SETTE marzo, in Albania?
La festa dei maestri, dei professori, dei docenti. Di chi trasmette il sapere, insomma.
Forse se la sono inventata proprio loro, gli insegnanti, per poter prendere le distanze almeno una volta all’anno da quelli che hanno bisogno di costruirsi attorno un mondo finto, fatto di celebrazioni del papà, della mamma, della donna, degli innamorati, della nonna, del padreterno e/o di babbo natale.
Quindi auguri a tutte le donne, vestite e nude, stupide e intelligenti, ricche e povere.
Che l’ormai inutile lotta per la parità già ampiamente ottenuta vi porti a ruggire affinché questa stupida festa che vi umilia venga definitivamente accantonata nell’armadio, accanto al vestito da rappezzare ormai dimenticato.
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