Del personaggio più suggestivo di Carlo Lucarelli, il Commissario De Luca, colpisce soprattutto il suo “disturbo alimentare” che, come sempre in simili patologie, nasconde un rapporto difficile con il mondo.
De Luca non mangia mai, al massimo pilucca, nonostante la fame lo perseguiti e il perdurante digiuno lo porti vicino al crollo fisico.
Nei primi romanzi, ambientati nell’Italia distrutta della guerra civile e del primo dopoguerra, il problema della denutrizione aveva una causa contingente, ma nell’ultima avventura, raccontata in “Intrigo italiano”, fresco uscito per Einaudi, siamo a metà degli anni 50 e i primi segni della ripresa economica, che di lì a breve porterà agli anni del boom, cominciano ad avvertirsi proprio nella disponibilità, e connessa voglia di cibo.
Per di più la vicenda si svolge nel regno indiscusso della gastronomia, Bologna la grassa con le sue innumerevoli prelibatezze.
Ma De Luca trascina ancora quella penosa inappetenza cronica, che lo fiacca ed estenua ma che, per un paradosso ben conosciuto a chi ha a che fare con le anoressiche, gli da’ anche un’ inesauribile energia, mentale e fisica.
E non è da dire che in “Intrigo italiano” il Commissario, ingegnere sotto copertura in un’indagine insidiosa, sfugga il richiamo di tortellini, salumi, bomboloni alla crema e rane fritte e/o in umido, anzi!, l’intera storia è scandita dal conflitto tra pulsioni alimentari e persistere del rifiuto verso il lato culinario dell’esistenza.
Ma l’inappetenza di De Luca è rivolta non al cibo, bensì alla realtà circostante, di cui ha un profondo disgusto.
Viene da chiedersi perché il Commissario, ex elemento di punta della Polizia Fascista divenuto un precario fuggiasco col crollo del regime, non la faccia finita, e la risposta è lineare, malgrado l’apparenza contorta del personaggio: ad ancorarlo alla vita, disperatamente quanto tenacemente, è la vocazione di poliziotto, il bisogno insopprimibile di far luce su crimini indecifrabili.
Averlo fatto al servizio di Mussolini, e continuare a farlo al soldo delle persino più tenebrose istituzioni dell’Italia Repubblicana, solerti nello sfruttare le doti di De Luca mettendo in cambio una pietra sopra i suoi trascorsi, per uno “sbirro nato” come lui è lo stesso.
Perché a suo modo, nonostante il coraggio e la spregiudicatezza, motivi del suo successo investigativo assieme ad una penetrante intelligenza, De Luca è un puro.
Prima di tutto e di tutti, De Luca serve la legalità del codice penale, che attraversa le epoche tutelando gli elementi minimi della convivenza civile.
Se qualcuno uccide, lui “deve” assicurarlo alla giustizia, vincendo la nausea ambientale che gli chiude lo stomaco.
In “Intrigo italiano”- titolo emblematico!-De Luca nell’ inverno freddo e nevoso del 1953/54 si trova in mezzo alle lotte intestine dei “servizi speciali” già deviati e politicamente asserviti del dopoguerra. Cerca con fatica di attraversarle indenne occupandosi in incognito dell’omicidio di una signora dell’alta borghesia, moglie di uno scienziato anch’egli, guarda caso, perito in un incidente stradale.
E’ l’Italia investita dai veleni del primo clamoroso scandalo politico-giudiziario: il delitto Montesi, che presenta più di un’analogia, per i torbidi risvolti e le insidiose strumentalizzazioni, con l’indagine affidata a De Luca.
Come ormai ci ha abituato, il personaggio di Lucarelli riuscirà, fra insidiosi ostacoli, compromessi e rischi mortali, a portare avanti il filo della sua inchiesta.
Confrontandosi in maniera inedita con due sentimenti che sembrerebbero esser preclusi a un emarginato sempre in bilico: la passione amorosa, nei panni di una giovane cantante dalla pelle scura, maliosa “faccetta nera” che sembra uscita dall’immaginario erotico del ventennio, e l’affetto paterno, impersonato da Giannino, fresca recluta dei servizi speciali che gli viene affiancato nell’inchiesta.
Rino Casazza
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