Nuovi scrittori pulp si affacciano sulle pagine del numero 2120 di Cronaca Vera, in edicola martedì 16 aprile.
Si tratta dell’ormai storica selezione di racconti noir e pulp per autori emergenti. E’ il turno di Diego Di Dio. Un noir davvero imperdibile in due puntate. Ve ne anticipiamo una piccola parte.
Per mandare i vostri racconti: cronacavera@kqnet.it
Buona lettura.
Il delirio di un impiegato
(di Diego Di Dio)
La luce che passa attraverso le sbarre disegna sulle pareti quadratini di sole. Il tamburellare dello sfollagente scandisce l’unico ticchettio che frantuma un silenzio insopportabile. Matteo è stanco.
Per un detenuto, ogni ricordo è un giorno che muore.
«Tutto bene?» gli chiede la guardia, passando di fronte alla cella.
«Sì» risponde Matteo, staccando le dita dalla macchina per scrivere. «Mi serve un’altra mezz’ora, poi ho finito».
L’appuntato ci pensa su. «Va bene. Guarda che tra un po’ viene il perito».
«D’accordo».
Riprende a scrivere. Le lettere d’inchiostro sulla pagina sono la musica di una storia cominciata cinque anni prima, quando lui s’imbatté in quel disco.
Otto canzoni scritte da Fabrizio De André.
Matteo pensa che presto la musica finirà.
Diario di Matteo Osvaldi
Storia di un impiegato
Fabrizio De André mi guarda dal muro come un dio impresso nella parete. Sorride.
I capelli neri gli piovono sulla fronte, nascondendogli l’occhio sinistro. Sullo sfondo scuro, alcuni pallini bianchi sembrano stelle perse nella notte. Mi fissa, come sempre.Un mugolio.Mi giro verso sinistra e strizzo l’occhio a Giulia. È legata a una sedia, mani e piedi. Un bavaglio le tiene la bocca chiusa, il sopracciglio destro è macchiato di sangue rappreso.Non avrei voluto colpirla, ma ho dovuto.È lei la traditrice.
L’uomo in giacca e cravatta entra e gli sorride. È alto, emaciato, e i suoi occhietti scuri s’intravedono appena dietro le lenti.
«Entro con lei» gli dice il secondino.
«Non penso ce ne sia bisogno» ribatte l’altro. Poi guarda Matteo con un sorriso affettato. «Vero, Matteo?»
«Stia tranquillo».
«Non importa. Meglio essere sicuri». La guardia entra, si chiude la porta alle spalle e si posiziona al centro della cella, mentre l’altro poggia la ventiquattrore sul tavolo e si siede di fronte a Matteo.
«Salve. Io sono il dottor Di Marco».
«È qui per sottopormi a una perizia psichiatrica?»
«Esatto. Allora, vediamo un po’». Di Marco apre la valigetta e tira fuori un paio di fogli. Nell’attesa, Matteo riprende a battere a macchina. Il perito lo scruta e solleva un sopracciglio. «Le posso chiedere cosa sta scrivendo?»
«La mia storia. Scrivo come si sono svolti i fatti».
Il perito lancia uno sguardo interrogativo al secondino, il quale risponde allargando le braccia. «Ha voluto che gli portassimo la sua macchina» spiega. «Il direttore ha detto che andava bene».
«Perfetto». Il dottore indica la risma di carta sul tavolo, e si rivolge a Matteo senza togliersi il sorriso dalla faccia. «Le dispiace se do un’occhiata? Vorrei leggere quello che ha scritto. Magari con le domande procediamo con calma».
«Prego». Matteo gli porge i fogli dattiloscritti. «Tanto ho quasi finito».
Diario di Matteo Osvaldi
Storia di un impiegato
Le tolgo il bavaglio.«Sarai tu a tradirmi».Giulia, per un istante, mi instilla quasi tenerezza con il suo sguardo incredulo. «Ma di cosa stai parlando? Sei impazzito?» Tira un respiro profondo, le si fanno gli occhi lucidi. «Liberami subito!»Mi alzo e sorrido. «Tu sei una serva del potere. Tu sei gli occhi del potere. Il potere ti ha incaricato di spiarmi». Le lancio uno sguardo, quasi sperando che la incenerisca. «Non è così?»«Matteo…» Respira piano, si morde le labbra. «Io non so di cosa tu stia parlando. E non so quale sia il tuo problema: magari sei stressato, o sei semplicemente impazzito. Io questo non lo so. Ma so che devi liberarmi subito, altrimenti ti rovino».Mi guarda. È bella e forte, Giulia. Ha due occhi scuri che ispirano soggezione, una lucidità invidiabile e una tempra risoluta. L’hanno scelta proprio bene.«Sono stata chiara?» grida.«Chiarissima. Adesso però ascolta».Prima di stabilire se ucciderla o meno, voglio che ascolti la canzone che la riguarda. “Storia di un impiegato” è già dentro lo stereo. Accendo le casse e seleziono la penultima canzone.«Questa è la mia preferita». Poi tiro fuori la pistola.
«Verranno a chiederti del nostro amore?» chiede il perito.
«Esatto» risponde Matteo, un po’ sorpreso. «La penultima canzone, bravo. Conosce il disco a memoria?»
«È uno dei miei preferiti». Di Marco sorride, le labbra distese in un sorriso fiero. «Conosco De André come le mie tasche».
Dietro le spalle del dottore, il secondino li guarda incuriosito. Mette le braccia conserte e inizia ad assumere un’espressione ponderosa. Non sa nemmeno di cosa stanno parlando, Matteo ne è sicuro. Ma persino lui può arrivare a capire che il dottore sta facendo di tutto per metterlo a suo agio. In fondo non gliene frega niente di parlare di De André.
«Allora sa di cosa parla la canzone. Giusto?»
Il dottor Di Marco lo scruta, in silenzio. Sembra che rifletta.
«Me lo dica lei» ribatte dopo un po’.
Matteo sospira. «Parla di Giulia. Di me e Giulia. Fabrizio De André aveva previsto tutto».
Di Marco risponde con un cenno d’assenso. Riprende in mano i fogli dattiloscritti, dando una sbirciata veloce. Ma sembra che non stia leggendo sul serio.
«Mi faccia capire bene». Si alza, allaccia le mani dietro la schiena, e inizia a gironzolare per la cella. «Lei è convinto di aver vissuto, e di vivere tuttora, all’interno di Storia di un impiegato, l’album di Fabrizio De André. Giusto?»
«Non dentro l’album. Dentro la storia dell’album».
«Sì, mi perdoni» si scusa il dottore, con un tono quasi sarcastico. «Lei crede che Fabrizio De André sia ancora vivo?»
«Ma per chi diavolo mi ha preso?» grida Matteo, sbattendo un pugno sul tavolo. Il secondino lo raggiunge con una lunga falcata e gli appoggia una mano sulla spalla. «Crede davvero che io sia pazzo?»
Il perito si risiede, alzando le mani. «Mi perdoni, Matteo. Non volevo mancarle di rispetto. La prego di scusarmi, non si ripeterà più».
Le labbra di Matteo si arricciano in un’espressione soddisfatta. Annuisce, quasi compiaciuto, mentre sente la rabbia defluirgli dal viso.
«Che ne dice se ricominciamo daccapo?» chiede Di Marco con tono mellifluo. «Le va di parlarmi di lei e Giulia?»
«D’accordo. Vorrà dire che finirò di scrivere dopo».
«Ecco, bravo. Quando conobbe Giulia, aveva già elaborato il suo piano?»
«Il mio piano? Quale piano?»
Il perito lo fissa con aria meditabonda. «Parlo della bomba».
«Ah» sorride Matteo, lasciando vagare lo sguardo per la stanza. «Già, la bomba».
(continua su Cronaca Vera n.2120 in edicola da martedì 16 aprile)