Lunedì prossimo sarà presentato ufficialmente il rapporto del Fmi dove si parla del debito greco, e che è già esploso come una bomba dopo le vaste indiscrezioni della settimana scorsa. «Il debito greco», vi si può leggere a chiare lettere, «è del tutto insostenibile. Perfino con la piena e completa applicazione delle riforme approvate nel quadro del programma di salvataggio, il debito pubblico e i bisogni di finanziamento sono avviati a diventare esplosivi nel lungo termine». I 179 Paesi davanti a cui sarà letto il rapporto sono avvisati. Senza un sostanziale alleggerimento, il debito della Grecia raggiungerà nel 2060 il 275% del pil.
E siamo di nuovo al braccio di ferro. La capatosta dell’Europa (Commissione e Bce) non ne vuol sapere di alleggerire alcunché, e anzi ha fermato il pagamento di una rata del programma di aiuti alla Grecia perché Tsipras ha osato dare un bonus natalizio ai pensionati più bisognosi, ha bloccato un aumento dell’Iva nelle isole depresse, e ha sovvenzionato un pasto al giorno per 30.000 bambini poveri del Nord del Paese. Tsípras si è giustificato (!) dicendo che l’austerità aveva avuto risultati migliori del previsto: quindi c’era un maggiore surplus e una parte si poteva anche utilizzare così; ma gli altri, irremovibili. Atene ha bisogno di 13 miliardi di euro per rimborsare prestiti che scadono fra adesso e luglio. E venerdì scorso sono bastate poche parole di Schäuble per far crollare il prezzo dei titoli di Stato greci, che già sono una specie protetta.
Se dalla riunione di lunedì del Fmi uscirà, come si teme, una conferma del disimpegno del Fondo nelle vicende greche, le conseguenze saranno pesantissime. Senza l’appoggio del Fmi al salvataggio, la Bce non avrà più il diritto di fare credito alle banche elleniche con la garanzia di titoli del debito pubblico, e il credito verrà a mancare. Possibile (e non improbabile) risultato, preceduto da un poco convinto e inutile tentativo di Atene di trovare i soldi sul mercato, il default. Che affonderebbe centinaia di miliardi di crediti che i Paesi dell’Ue hanno nei confronti della Grecia.
Tsípras ha due settimane per disinnescare questa paurosa mina. Ma ha già rifiutato di spremere un solo euro di più dalle desolate saccocce dei greci, perché sarebbe un suicidio politico. Già oggi il partito di centro-destra, Néa Dhimokratía, è accreditato del 40% delle intenzioni di voto. Síriza, il fronte unito dell’estrema sinistra, che due anni fa aveva stravinto le elezioni, arriva appena al 18. La speranza di Tsípras è che la crescita economica (2,7% previsto per quest’anno) possa addolcire la rabbia del popolo greco e ridare fiato a lui come prothipurghós (primo ministro). Ma siccome senza aiuti la crescita si ferma e la crisi diventa crollo verticale, finirà senza dubbio per cedere e fare quello che gli viene chiesto: austerità, austerità e ancora austerità. Che come tutti sanno, è la migliore propaganda per l’Europa Unita. E qui, se in italiano non ci fossero soltanto il punto esclamativo e quello interrogativo, sarebbe proprio il caso di mettere un “punto ironico”. Bisognerà proporne l’introduzione all’Accademia della Crusca.
Paolo Brera