Ancora non si sia se la vicenda di Montepaschi (e delle altre banche in difficoltà) si concluderò con un intervento del governo oppure no. Il decreto sarebbe pronto e Gentiloni ha già detto che in caso di necessità saranno presi provvedimenti; paradosalmente, già questa enunciazione di intenti potrebbe portare al successo dell’operazione tutta privata di aumenhto di capitale, cessione delle sofferenze e rilancio. Il governo, naturalmente, è la fotocopia del governo Renzi, che sulla faccenda delle banche ha inflitto ai risparmiatori e agli operatori economici bisognosi di credito una serie di colpi forsennati. Ma tutto questo è nel passato e si spera che il nuovo (si far per dire) governo possa cambiare strada.
Da chiarire resta pur sempre qualcosa. Nel caso del sistema bancario italiano, non si tratta di fare un regalo alle banche, che ne hanno già ricevuti fin troppi. Si tratta di evitare altri decenni di stagnazione se non di crollo.
Cercherò di contribuire a far chiarezza su questo genere di crisi e sul modo di affrontarle. Partiamo da un’evidenza: che le banche siano diverse dalle imprese produttrici, e richiedano una regolazione specifica, è ovvio da tempo. Il motivo va cercato negli enormi danni per la collettività se le cose per loro girano al peggio.
L’attività bancaria accentra risorse di cui i proprietari non hanno un bisogno immediato, e le usa per sostenere altre attività. I depositanti possono ritirare il proprio denaro in qualunque momento, ma in ogni dato periodo lo fa solo una piccola minoranza. La banca tiene in serbo un po’ di soldi per chi ritira ma può usare il resto.
Per una banca, le cose possono andare storte in due modi. Il primo è che alcuni, troppi, non possano restituire i soldi ricevuti in prestito. Il secondo è che troppi richiedano indietro contemporaneamente i depositi. La prima eventualità si para prestando in modo avveduto e avendo del capitale proprio per assorbire le possibili perdite – ma è ovvio che una crisi economica precipiterà sempre molti debitori che prima sembravano solidi nel bulicame degli insolventi. Per evitare il ritiro dei soldi bisogna invece ispirare fiducia al pubblico e avere un’assicurazione sui depositi che garantisca i correntisti. In caso di guai grossi, subentra un fondo che tira fuori il denaro per soddisfare i correntisti.
Il problema delle banche italiane, negli anni scorsi, è stato essenzialmente sul versante degli impieghi. Dopo decenni di amarezze, oggi molti operatori non riescono a tener dietro ai debiti. Di qui l’accumularsi dei crediti non performanti, cioè quelli di cui non è certo se saranno rimborsati oppure non è certo se produrranno interessi. L’attuale stato di cose non è disperato: nel senso che se l’economia si riavvia, se lo Stato preleva un po’ meno tasse, se le banche possono dare tempo ai debitori e se le insolvenze vengono regolate in fretta dai tribunali, la situazione, piano piano, si normalizzerà. Solo che in Italia la tassazione è vorace, il sistema giudiziario ci mette anni a definire un fallimento, le banche sono obbligate da Basilea a rientrare dalla loro esposizione per soddisfare le regole sul capitale; e l’economia, per tutti questi motivi, non si riavvia affatto.
Chi deve saldare il conto se una banca affonda? Nella Catalogna del secolo XIV i banchieri che finivano nei guai venivano messi a pane ed acqua finché non pagavano. Più tardi fu introdotta la pena capitale. Nell’Ottocento arrivò l’innovazione della responsabilità limitata dei soci di capitale, nel Novecento le regole per i casi di fallimento: prima pagano gli azionisti, poi i creditori, infine i depositanti sopra una certa somma garantita; e solo a questo punto, se occorre, lo Stato interviene per ristrutturare o liquidare la banca in modo ordinato e con adeguati ammortizzatori sociali.
Queste norme sul bail-in, considerate in astratto, sono giuste. In una situazione normale infatti produrrebbero stabilità. Il problema è che l’Italia non è in una situazione normale: troppa gente avrebbe serie difficoltà se le norme venissero applicate contemporaneamente a diverse banche, e tutta l’economia ne soffrirebbe.
Quando c’è un’emergenza, bisogna adottare rimedi di emergenza. Facile, no? Che cosa bisogna fare allora per sostenere il sistema bancario? La risposta è semplice: Whatever it takes, “qualsiasi cosa sia necessaria”. Il motto del numero uno della Bce, Mario Draghi, può essere applicato anche al Monte dei Paschi. Che andava salvato a qualsiasi costo.
Paolo Brera
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