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Bilancio, quasi niente su tasse ed equità

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Potremo mai sperare, finita l’era di Renzi, che il prossimo governo metta all’ordine del giorno qualche provvedimento serio in campo fiscale? Per ora, non se ne vede alcun segno. Il Senato ha consegnato alla storia l’ultimo bilancio pubblico renziano: come è nel più puro stile dell’ormai ex presidente del Consiglio, al posto di affrontare i problemi con i fatti sono state servite al Paese sopra tutto parole, e se azioni, azioni controproducenti. In fatto di tasse così come di equità.

C’è qualcuno che dubita che il peso del Fisco sulla gente sia uno dei problemi più grossi dell’economia e della società italiana? Su questo non si vede quasi niente, in termini di azioni. Viene mantenuto il peso del Fisco, crescono gli adempimenti, che sono la più odiosa delle tasse, perché prelevano tempo di lavoro e risorse senza nessuna contropartita utile. Versare dei soldi allo Stato può essere visto come un contributo al perseguimento di fini condivisi (se lo Stato è democratico, si capisce), ma dover fare le cose in un certo modo prescritto dalla legge, o spendere il nostro tempo per rendere più facile controllarci o semplicemente per evitare di pagare troppo non aumenta in nulla la ricchezza del Paese.

Altre misure aumentano la complicazione del sistema, cosa che non favorisce mai il pubblico generale ma solo quelli che sanno come sbrogliarsela con le norme. Possiamo enumerare le agеvolazioni fiscali chе riguardano i rеdditi dominicali е agrari (еsеnzionе Irpеf), la riduzionе dеllе accisе sulla birra, lе agеvolazioni fiscali pеr la finanza еtica, l’еstеnsionе dеgli incеntivi fiscali pеr lе start-up innovativе е pеr lе Pmi innovativе, la dеtassazionе pеr i rеdditi dеrivanti dagli invеstimеnti a lungo tеrminе (almеno cinque anni) nеl capitalе dеllе imprеsе, еffеttuati dallе cassе prеvidеnziali o da fondi pеnsionе. Poi l’еsеnzionе fiscalе pеr i rеdditi di capitalе е i rеdditi divеrsi pеrcеpiti da pеrsonе fisichе dеrivanti dagli invеstimеnti еffеttuati in piani di risparmio a lungo tеrminе, a spеcifichе condizioni, tra cui l’obbligo di invеstirе nеl capitalе di imprеsе italianе е еuropее, con una risеrva pеr lе Pmi. Dulcis in fundo, un incеntivo per attirarе pеrsonе facoltosе: arriva l’imposta sostitutiva forfеttaria sui rеdditi prodotti all’еstеro in favorе dеllе pеrsonе fisichе chе trasfеriscono la rеsidеnza fiscalе in Italia е un “visto invеstitori” pеr chi intеndе еffеttuarе significativi invеstimеnti da noi.

I numeri del bilancio non sono affatto belli. Il deficit pubblico sale al 2,3% del pil, una pausa benvenuta anche se il prossimo governo dovrà difenderla in Europa con le unghie e con i denti. La prevista ghigliottina dell’aumento automatico dell’Iva, una vigliaccheria spacciata come salvaguardia per il caso che le altre misure non valgano a ridurre il deficit, non scatterà nel 2017 ma arriverà per il 2018 (a babbo morto, per Renzi): il 3%, che non è affatto poco, e con un ulteriore aumento dello 0,9% dal Capodanno 2019 se verranno mancati gli obiettivi. Fra due anni, quindi, potremmo ritrovarci con un’imposta sul valore aggiunto che prenderà più di un quarto del valore aggiunto: il 25,9%, per l’esattezza. Il tutto senza che nessuno si debba prendere la responsabilità politica di questo aumento, deciso da gente che non posa più le proprie natiche su alcuna poltrona ministeriale.

Come al solito, poi, si prende una vecchia tassa, la si accorpa con un’altra, magari si cambia il nome e voilà, si può dire di aver abolito un prelievo anche se i soldi da pagare restano gli stessi o magari perfino aumentano. Quest’anno ci sarà risparmiato l’usuale petulante tweet celebratorio di Renzi o la solita tirata contro «gufi e rosiconi», che non vedono quanto si muove l’Italia. È già qualcosa, ma quando avremo misure veramente incisive, come il taglio delle superpensioni pubbliche e delle remunerazioni astronomiche nell’apparato statale? La società civile chiede questo da tempo, ma nei bilanci pubblici non ve n’è mai traccia. Eppure l’equità è un fattore di crescita economica, perché si lavora più volentieri per sé stessi che per pagare tasse altissime e strapagare altri. Il prossimo governo dovrà agire in questo senso e non limitarsi a garruli tweet.

Paolo Brera
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Paolo Brera

Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Algama sta ripubblicando le sue opere in ebook, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista il colonnello De Valera.

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