Tutto sommato, l’obiettivo della Bce di un aumento del 2% annuo nell’indice dei prezzi è un buon obiettivo. Vediamo perché
In ottobre, ci dice l’Istat, i prezzi al dettaglio sono ancora una volta diminuiti. In Italia. A livello mondiale invece l’inflazione c’è; ma è debole, e questo, stando all’ultima moda, per gli economisti è un male. Vent’anni fa preoccuparsi per prezzi troppo stabili sarebbe stato inconcepibile. Perfino l’obiettivo ormai generalizzato delle banche centrali – un tasso d’inflazione del 2% all’anno – sarebbe stato pesantemente criticato. L’obiettivo doveva essere zero, non un decimale di più. Ma ora che ci siamo, allo zero, si vede che non va troppo bene.
In qualunque economia, se non ci sono meccanismi automatici di indicizzazione dei redditi, l’inflazione trasferisce potere d’acquisto dai gruppi indifesi a quelli con redditi in qualche modo indicizzati. (Per capirci: dai pensionati ai commercianti, dai semplici cittadini ai politici.) Perturba il risparmio. Fa svalutare la moneta. Un’inflazione limitata può invece essere salutare. Il progresso tecnologico infatti si traduce in nuovi prodotti, che tipicamente sono più costosi da produrre e sul mercato prezzano di più di quelli già presenti. Un’inflazione positiva ma bassa lubrifica i meccanismi del mercato e rende più scorrevole il progresso.
E una inflazione zero, come la volevano i monetaristi vent’anni fa? È una situazione che cela diversi pericoli. Con inflazione nulla, i tassi d’interesse possono solo essere minuscoli. Tassi quasi a zero scoraggiano il risparmio e la concessione di crediti da parte delle banche. Nello stesso tempo rendono più spensierati gli Stati, che si possono finanziare a basso costo o perfino a costo negativo. Al momento in cui i tassi tornano alti, istantaneamente i bilanci pubblici diventano più fragili. Già se ne è vista qualche avvisaglia con il percepibile aumento della scorsa settimana dei tassi sui titoli pubblici, con lo spread tra Btp e Bund decennali che a sua volta torna ad avvicinarsi ai 200 punti base.
L’inflazione zero modifica anche le percezioni del mercato. Se devi lanciare un nuovo prodotto e lo prezzi un 5% in più di quelli già offerti, con inflazione moderata (diciamo 4%) la gente neanche si accorge del prezzo. Ma se gli altri prezzi sono del tutto fermi, se ne accorge eccome. E diventa più sofistica sulla questione della qualità: fa le pulci al nuovo prodotto, visto che si rende conto che gli costa di più. Ovvio che questo impaccia l’innovazione.
Non solo l’innovazione è danneggiata dalla rigidità dei prezzi. La ristrutturazione di un’economia – sempre necessaria, perchè cambiano la disponibilità relativa delle risorse e la domanda – è più facile se la diminuzione dei compensi relativi del lavoro in certi settori o professioni può avvenire semplicemente con aumenti inferiori rispetto ai settori emergenti, piuttosto che con una diminuzione di tali redditi anche in termini nominali. In una parola, l’inflazione zero è la spia rossa della stagnazione. E nella stagnazione noi infatti siamo. Tutto sommato, il 2% di aumento dei prezzi non è un brutto obiettivo.
Paolo Brera