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Brexit: quali prospettive per i lavoratori stranieri?

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“Ci sono troppi lavoratori stranieri ed anche troppi studenti stranieri”. Una frase forte e riconducibile, probabilmente, ad un esponente di estrema destra. Assolutamente falso, queste sono in realtà alcune dichiarazione effettuate dalla ‘ministra’ degli interni inglese Amber Rudd, una delle figure politiche più importanti in ambito europeo.

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Dichiarazioni criticabili o condivisibili? L’opinione della Gran Bretagna è divisa con correnti che esaltano il nazionalismo dell’esponente del partito conservatore ed altre, tra cui logicamente il partito laburista, che evidenzia l’aspetto razzista di tali dichiarazioni.

In realtà non si trattava di mere parole ma di un vero e proprio abbozzo di progetto che, almeno nelle intenzioni della ministra, doveva portare a delle vere e proprie liste dei lavoratori stranieri del Regno Unito. Una soluzione drastica e forte, forse utile a livello nazionale, ma caratterizzata da tinte fosche che rimandano inevitabilmente ad esempi negativi del passato legati a scelte autoctone.

Se da un lato l’abuso della manovalanza straniera a ’basso costo’ può rappresentare un problema non solo per l’economia inglese ma per qualsiasi stato europeo, in questo caso si tratta di figure lavorative di qualità che, nel caso ad esempio dei lavoratori italiani, come dichiarato dal senatore Della vedova ” è stato formato a spese delle famiglie e dello Stato italiano, dei cui frutti, meritoriamente, usufruiscono le aziende londinesi della City e di altre parti del paese della Rudd”

Inoltre la pubblicazione delle liste dei lavoratori non inglesi potrebbe portare a qualcosa di più che una semplice sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Un aspetto evidentemente sottovalutato dalla Rudd che mira invece a spingere le aziende del Regno Unito ad assumere più connazionali.

Le dichiarazioni sono state in seguito edulcorate dal primo ministro May che ha specificato di voler mantenere la Gran Bretagna all’interno del mercato unico europeo. Una precisazione dovuta anche in funzione delle richieste della Confederation of British Industry, che rappresenta quasi 200 mila aziende e che ha rappresentato una delle forze trainanti verso il Brexit. Il capo del governo inglese ha inoltre affidato a Justine Greening una specifica formale della posizione del governo. La ministra dell’istruzione ha infatti specificato che non verranno create le tanto paventate liste ma che si mirerà ad approfondire la situazione occupazionale in maniera attenta ma assolutamente riservata.

L’Inghilterra ha accolto tanti connazionali e giovani volenterosi, che anziché rischiare di ingrossare il numero di persone costrette a chiedere i prestiti a protestati hanno scelto di avventurarsi in una terra comunque straniera. Ma ora che non sembra più voler accogliere chi cercherà di cambiare vita, quale potrebbe essere la nuova meta?

Simona Lotta

 

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